Massimo Nalli, presidente Suzuki Italia: "Sport concentrato di vita"

L'intervista all'imprenditore: "A volte in un solo weekend si concentrano emozioni e sensazioni che si accumulano in mesi o in anni"
Massimo Nalli, presidente Suzuki Italia: "Sport concentrato di vita"

Massimo Nalli è il presidente di Suzuki Italia e un uomo di sport. Innamorato dello sport o, come ama precisare, «costantemente in fase di innamoramento dello sport, quindi appassionato, mai deluso e sempre attratto». La ragione è semplice: «Lo sport è quella cosa in grado di concentrare in un solo weekend emozioni che si incontrano in mesi o addirittura anni di vita: c’è la preparazione, la competizione, lo spirito di squadra e l’individualismo, il fallimento e il successo, tutto condensato in uno spazio di tempo brevissimo. Fare sport o viverlo è vivere di più, è vivere più intensamente».

Questa passione ha in qualche modo influenzato le sue scelte di lavoro? Suzuki è molto presente nello sport.

«Suzuki ha sempre avuto lo sport nel suo DNA. Ovviamente partendo dagli sport motoristici: le moto negli Anni 60 con le vittorie al leggendario Tourist Trophy, poi i Mondiali vinti, anche con piloti italiani come Lucchinelli e Uncini e il finale agrodolce del nostro abbandono alla MotoGp con due vittorie negli ultimi tre Gran Premi. Poi ci sono le quattro ruote con i trofei monomarca con i fuoristrada e i rally. La nostra storia è permeata di competizione».

Adesso anche come sponsor.

«Ci piace l’idea di sostenere delle discipline nelle quali ci rispecchiamo. Sport che condividano la nostra passione per la competizione e il rispetto delle regole e degli avversari. Non importa se siano nazionalpopolari o di nicchia».

Il rapporto tra sport e azienda

Cosa dà lo sport a un’azienda?

«È finito il tempo in cui si faceva pubblicità dicendo: “comprate il nostro prodotto, questo è il prezzo”. Il consumatore oggi è disposto a dare la propria fedeltà a un marchio se ne condivide i valori. Suzuki ha sempre avuto il miglioramento della vita dei propri clienti come obiettivo e ha sempre cercato di arrivarci con dedizione, intelligenza, applicazione. Arriva dal nostro fondatore: il primo prodotto che progettò e costruì fu un telaio per tessere il cotone da regalare a sua madre per semplificare il suo lavoro, allora manuale. Ecco, lo sport può essere utile a comunicare i nostri valori: impegno, preparazione, rispetto, cercare sempre la vittoria, accettare la sconfitta per ripartire sempre».

Ci sono dei parametri per misurare il successo di una sponsorizzazione?

«Lo sport ha il grande vantaggio di essere visibile e tangibile, di essere accessibile a tutti ed essere trasversale nella società: tutti possono ugualmente appassionarsi a una partita, un gran premio, una gara. E tutti possono praticarlo. Detto ciò non c’è un parametro oggettivo. Si dice che metà della pubblicità è utile e metà è sprecata, ma nessuno sa esattamente come distinguerle. Diciamo che il segreto di una sponsorizzazione è crederci: se ci credi, se condividi i valori e lo spirito, allora funziona. Ma non sono in grado dimostrarlo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le varie partnership

Quali sono le partnership che vi danno più soddisfazione?

«Festeggiamo tra poco i dieci anni sulla maglia del Torino ed è una storia alla quale teniamo molto. Poi c’è il rugby che, personalmente, mi appassiona per il grande rispetto dell’avversario. Il concetto di terzo tempo, l’idea dei tifosi che si mischiano e celebrano l’amicizia nel dopo partita, il fatto che i vincitori alla fine aspettino i vinti per mostrare loro rispetto anche nella vittoria, la bellezza di vedere famiglie con la carrozzina o il passeggino sugli spalti sono tutti elementi che danno sensazioni ed emozioni fantastiche. E il rugby italiano che sponsorizziamo sta crescendo con coraggio e costanza».

Da tempo siete anche partner della Federghiaccio.

«Le nostre auto sono famose per essere state, negli Anni 80, le regine delle quattro ruote motrici. L’idea degli sport sul ghiaccio è molto vicina a noi. Se ci pensa sul ghiaccio ci può essere arte, potenza, spettacolo e aggressività a seconda delle specialità. Un mix entusiasmante».

Dall’anno scorso siete con la Federazione Italiana Triathlon.

«Ha molto in comune con la storia della Suzuki, che ha sempre agito su molti fronti con i suoi motori. Il triathlon rappresenta flessibilità e capacità di adattamento perché bisogna essere forti e preparati in tre discipline molto diverse l’una dall’altra, con il filo conduttore della resistenza. Oltretutto sta ampliando il suo pubblico: una volta era riservato a superdonne e superuomini, oggi è sempre più nazionalpopolare ed è possibile sperimentarlo a ogni livello».

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Sport e atleta preferiti

Il suo sport preferito?

«Io sono particolarmente appassionato di rally, uno strano sport dove il mezzo è molto ingombrante e presente, ma ha un fascino particolare e unico».

Il suo atleta preferito?

«A me piace l’idea di un campione completo e sono attratto dagli sport di resistenza. Di recente ho conosciuto Gianluca Pozzatti, triatleta italiano: non solo un campione, ma è un atleta moderno, si è laureato, riuscendo a sposare lo studio con allenamenti massacranti. Anche Buongiorno, il capitano del Torino, si è laureato ed è altrettanto ammirabile. Mi piacciono questi atleti: giovani, vincenti, impegnati e lungimiranti che guardano a se stessi anche in prospettiva».

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Massimo Nalli è il presidente di Suzuki Italia e un uomo di sport. Innamorato dello sport o, come ama precisare, «costantemente in fase di innamoramento dello sport, quindi appassionato, mai deluso e sempre attratto». La ragione è semplice: «Lo sport è quella cosa in grado di concentrare in un solo weekend emozioni che si incontrano in mesi o addirittura anni di vita: c’è la preparazione, la competizione, lo spirito di squadra e l’individualismo, il fallimento e il successo, tutto condensato in uno spazio di tempo brevissimo. Fare sport o viverlo è vivere di più, è vivere più intensamente».

Questa passione ha in qualche modo influenzato le sue scelte di lavoro? Suzuki è molto presente nello sport.

«Suzuki ha sempre avuto lo sport nel suo DNA. Ovviamente partendo dagli sport motoristici: le moto negli Anni 60 con le vittorie al leggendario Tourist Trophy, poi i Mondiali vinti, anche con piloti italiani come Lucchinelli e Uncini e il finale agrodolce del nostro abbandono alla MotoGp con due vittorie negli ultimi tre Gran Premi. Poi ci sono le quattro ruote con i trofei monomarca con i fuoristrada e i rally. La nostra storia è permeata di competizione».

Adesso anche come sponsor.

«Ci piace l’idea di sostenere delle discipline nelle quali ci rispecchiamo. Sport che condividano la nostra passione per la competizione e il rispetto delle regole e degli avversari. Non importa se siano nazionalpopolari o di nicchia».

Il rapporto tra sport e azienda

Cosa dà lo sport a un’azienda?

«È finito il tempo in cui si faceva pubblicità dicendo: “comprate il nostro prodotto, questo è il prezzo”. Il consumatore oggi è disposto a dare la propria fedeltà a un marchio se ne condivide i valori. Suzuki ha sempre avuto il miglioramento della vita dei propri clienti come obiettivo e ha sempre cercato di arrivarci con dedizione, intelligenza, applicazione. Arriva dal nostro fondatore: il primo prodotto che progettò e costruì fu un telaio per tessere il cotone da regalare a sua madre per semplificare il suo lavoro, allora manuale. Ecco, lo sport può essere utile a comunicare i nostri valori: impegno, preparazione, rispetto, cercare sempre la vittoria, accettare la sconfitta per ripartire sempre».

Ci sono dei parametri per misurare il successo di una sponsorizzazione?

«Lo sport ha il grande vantaggio di essere visibile e tangibile, di essere accessibile a tutti ed essere trasversale nella società: tutti possono ugualmente appassionarsi a una partita, un gran premio, una gara. E tutti possono praticarlo. Detto ciò non c’è un parametro oggettivo. Si dice che metà della pubblicità è utile e metà è sprecata, ma nessuno sa esattamente come distinguerle. Diciamo che il segreto di una sponsorizzazione è crederci: se ci credi, se condividi i valori e lo spirito, allora funziona. Ma non sono in grado dimostrarlo».

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