Depressione e ansia, i mali oscuri delle star

Confessioni e studi negli Stati Uniti: da Denis Rodman a Naomi Osaka fino a Micheal Phelps, i campioni sono persone come noi
Depressione e ansia, i mali oscuri delle star© REUTERS

Li immagini più forti, nutriti di competizione da non potersi sentire persi. Invece. Quando un amico chiamò la polizia di Detroit in una notte di aprile 1993 per chiedere aiuto, paventando il tentativo di suicidio di Dennis Rodman, esimio difensore dei Pistons bicampioni, l’appassionato di basket rimase attonito. Rodman fu trovato con un fucile nel pick up nel parcheggio dell’arena. Nell’ormai mondo globalizzato nell’All Star weekend Nba 2018 a Los Angeles, DeMar DeRozan scosse il mondo con un tweet che riportava un verso del rapper Kevin Gates: "This depression get the best of me". Le nubi non si curano di chi possano oscurare. Eppure DeRozan aveva visto morire in sparatorie famigliari e amici e poi aveva avuto tutto. Lo seguì Kevin Love, campione Nba e la lega decise di avviare un programma di salute mentale, dopo i tanti già ideati per aiutare i debuttanti i “rookies” ad ambientarsi e adeguarsi. Pochi esempi di un malessere diffuso come in ogni angolo della nostra società. Ognuno ha i suoi motivi e a volte motivi è difficile trovarne. Negare i problemi è peggio. L’associazione americana medici sportivi scrive che oltre ai fattori scatenanti a noi comuni, lo sportivo può cadere in ansia e/o depressione per infortuni, fallimenti sportivi, ritiro dall’attività, eccesso di allenamenti e competizioni, per commozione cerebrale, senso di inadeguatezza.

Depressione e ansia, i mali oscuri delle star

Rui Hachimura dopo i Giochi di Tokyo ha saltato 39 partite per motivi personali. Non si sentiva pronto. Eppure aveva toccato il momento di maggiore fama. Ray Allen, campione Nba e attore per Spike Lee nel film “He got game”, ammise di soffire per un disordine ossessivo-complusivo. Larry Sanders si è ritirato dalla Nba all’apice per curare depressione e ansia. Come lui altri 21 giocatori. Di recente John Wall, star multimilionaria colpita da una serie di infortuni ha scritto una confessione su “The Players tribune” che comincia con “Sono andato vicinissimo a togliermi la vita”. Dopo infortuni e infezioni, la morte della madre lo aveva travolto. Ma Wall ha trovato la forza per chiedere aiuto, perciò ha scritto “dobbiamo parlare di questo, perché è ancora un tabù”. E non c’è solo la Nba, se negli Usa si narra che un adulto su cinque sia colpito da depressione, i giocatori NFL corrono più rischi a causa dei colpi subiti e in particolare delle commozioni cerebrali. La Major League non è esente. E persino il fenomeno del nuoto Michael Phelps ha rivelato la sua depressione. Naomi Osaka, si ritirò dal Roland Garros per questo motivo. Nella NFL Steve Smith sr ammise una volta finita la carriera: "Quando giocavo mi sentivo intrappolato, inferiore e solo e tutto questo mi spezzava". Sempre più atleti e ormai le squadre ricorrono all’aiuto medico di psicologi e psichiatri. E a volte non basta. Perché i campioni sono come noi. Persone.

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