Nibali, seconda vita al servizio del ciclismo: "Sono nato con la bici"

Vincenzo si racconta: "A 16 anni sono andato via da casa, questo sport è stato il mio servizio militare e la mia famiglia"
Nibali, seconda vita al servizio del ciclismo: "Sono nato con la bici"© EPA

Vincenzo Nibali e il ciclismo, una lunga storia d'amore iniziata anni fa e destinata a continuare ancora per tanto tempo. Non vedere più il suo nome in mezzo a quello dei campioni del gruppo di oggi fa un certo effetto, ma per il siciliano - oggi da consulente del team professional con licenza svizzera Q36.5, domani chissà - la sensazione è che ci siano ancora tante storie da scrivere.

Nibali, come nasce l'amore per la bici?
«La scintilla nasce perchè il ciclismo era lo sport di famiglia. Sono nato e cresciuto con la bici in casa, mio padre Salvatore era un amatore. Montava e smontava biciclette, così ha passato la passione a me».

La prima bici del cuore?
«La assemblammo insieme io e mio padre: aveva un passato da carrozziere e aveva tanti amici in quell'ambiente. Recuperammo un vecchio telaio su cui abbiamo innestato i vari componenti, anche di fortuna! L'abbiamo carteggiata e verniciata: era color rosso bordeaux, una tonalità molto scura».

C'è mai stata una “cotta” per un altro sport che non fosse il ciclismo?
«Ai tempi della scuola un piccolo bivio ci fu. Il calcio non è mai stato troppo nelle mie corde, forse per i contrasti. Volevo andar forte e così con la scuola entrai a far parte della squadra di corsa campestre. Non sentivo la fatica, mi piaceva farlo con amici e compagni. Ricordo ancora il professor Mazzeo che mi selezionò dalla scuola che frequentavo, la Galatti a Messina. Andavamo forte: arrivammo alle gare regionali e ci scontrammo con i più forti. Da lì poi ripensai alla bici e non l'ho più mollata».

Il suo campione del cuore?
«Pantani su tutti. Ricordo Bugno, Chiappucci e i suoi caschi, Cipollini. Da ragazzi seguivamo tutti i grandi campioni italiani ma Pantani era qualcosa di più: chi aveva la bandana, chi gli occhiali...».

La gara che ha sempre amato e sognato?
«Se penso da corridore dico la Liegi, ma da ragazzo non mi viene in mentre altro che il Giro. Il Tour a quell'età quasi non esisteva. Il Giro d'Italia era la gara che tutti avremmo sognato di fare. Come fascino poi cito anche la Parigi-Roubaix, ma poi correrla davvero è stata un'altra storia».

Il suo compagno di squadra del cuore?
«Certamente il pensiero va a Michele Scarponi, ma potrei citare per tanti motivi anche Basso, Agnoli e Zanotti. Alcuni di loro sono stati con me per tanti anni e insieme siamo riusciti a raggiungere grandi risultati come il Tour e il secondo Giro d'Italia nel 2016».

In sella amava più le salite o le sue mitiche discese?
«La salita è bella, ti fa apprezzare la fatica. La discesa però te la godi tutta!».

Cosa le ha insegnato lo sport in tutti questi anni?
«Lo sport per me è stato tutto. Un insegnamento di vita, disciplina. Il mio servizio militare è stato proprio lo sport. Sono andato via da casa giovanissimo, destinazione Toscana, per inseguire questo sogno. Il ciclismo è stato il mio lavoro, che ho svolto con dedizione. Mi ha aiutato a lavorare in gruppo e quello è ciò che ti aiuta a raggiungere i più grandi risultati: fiducia, rispetto e amicizia».

Dopo tutte le cadute, il dolore e le delusioni cos'è che fa scattare di nuovo la voglia di tornare in sella?
«Nello sport, come nella vita, ci sono sempre delle cadute. Ho sempre pensato che prima riparti, meglio è. Ci sono colpi e colpi, ma l'importante è risollevarsi e tirare fuori il carattere. Lo devi trovare o essere aiutato a trovarlo: durante la mia carriera, intorno a me, ho sempre avuto grandi persone che mi han-no aiutato molto».

Se potesse chiedere un gesto d'amore a chi ha il potere di cambiare le cose nel suo sport, cosa chiederebbe?
«Il ciclismo è un mondo particolare, una famiglia in cui si conoscono tutti. Diciamo che ad oggi mancano un po' di diritti per chi investe, soprattutto per le squadre che devono fronteggiare sempre spese maggiori. Come diceva Tinkov (magnate russo ed ex proprietario della squadra Tinkoff, ndr) è l'unico sport dove investi e non hai ritorno: non è proprio così, però è vero che ci sono molte voci di possibili incassi che non entrano nelle tasche di chi mette i soldi all'origine. Bisogna ripensare il modello, penso anche a quanto sta facendo la F1».

Lei è la dimostrazione che l'amore per lo sport non si perde mai. Quando la vedremo in mountain bike?
«Per me la mtb sarà una valvola di sfogo, puro amore. Certo, un pizzico di competizione ci sarà sempre ma niente di più. L’ho sempre amata, anche agli inizi. Oggi è più normale pensarla come complementare alla strada grazie ad atleti come Pidcock e Van der Poel».

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