Audioleso per un tumore, la rinascita di Frattini grazie alla corsa

Marco Frattini, odontoiatra audioleso e maratoneta, racconta la sua vita fatta di silenzi e corse su e giù per la Brianza
Audioleso per un tumore, la rinascita di Frattini grazie alla corsa

«La mia colonna sonora è ferma al 2006». Undici anni fa infatti, a causa di una malattia, Marco Frattini ha perso completamente l'udito. Quarantadue anni a luglio, brianzolo di Meda, laureato in odontoiatria e protesi dentaria, chef diplomato, da quando ha perso l’udito Marco non si è fermato a piangersi addosso. Anzi ha iniziato a correre, macinando chilometri su e giù per la Brianza. E l’8 ottobre del 2006, alla «Milano City Marathon 2006», completa la sua prima maratona.
«Un mio amico – racconta Marco Frattini – mi aveva lanciato una sfida: “scommetto che non sei in grado di correre una maratona”, mi disse. E, poiché a me le sfide piacciono, ho iniziato ad allenarmi duramente e gli ho dato appuntamento alla City Marathon. Ma la sfida vera, forse, non era con lui ma con il mio handicap. Da lì ho
cominciato a fare sul serio».
E sono arrivati i successi: tre volte campione italiano di maratona (2010/11/12) e tre volte campione italiano di cross (2009/10/11) per la «FSSI» («Federazione Sport Sordi Italia»). E l’idea del primo social network dedicato alla corsa, l’app per iPhone e Android «CiaoRunner», nato per condividere la sua passione per la corsa con gli altri runner.
Una passione, quella per la corsa, che è diventata anche una professione con «Iovedodicorsa», il brand di abbigliamento tecnico dedicato al mondo dei runner.
«È stata la corsa a farmi capire che se volevo affrontare un percorso e raggiungere un obiettivo dovevo darci dentro e mettere in campo tutte le energie e le forze che avevo»
Per correre per 42 chilometri bisogna saper stare soli, isolarsi dal mondo e «parlare» con se stessi. Ma correre è anche un modo di comunicare. Marco ha preso carta e penna e i suoi pensieri durante la corsa diventano parole, quelle dei suoi libri, «Vedere di corsa e sentirci ancora meno», pubblicato nel 2010 con «Li.Fra», l'associazione culturale che promuove progetti per rendere accessibile il teatro ai non udenti, e «Il mio comandamento» del 2014.
Ma nel mondo di Marco uno spazio importante lo occupa anche la musica. Prima di perdere l’udito, Frattini suonava in una boyband, la «classica» rock band formata da amici che faceva musica nel garage sotto casa, e lavorava come fonico. Ma la vita, a volte, non fa sconti. «Ero un bravo fonico e un buon chitarrista, racconta Marco Frattini. La musica oggi è una sorta di riflesso condizionato. Non ho più la possibilità di sentire la melodia di una canzone. Però sento le vibrazioni. Ricordare quello che vuol dire suonare uno strumento, imbracciare una chitarra, suonare un pianoforte cerco di riviverlo nella mia testa».
Una passione o un moto dell’anima, come la definisce Marco, che lo ha portato a collaborare con Daniele Gambini, «il pianista che ascolta con le dita». Pianista, musicologo e compositore, Daniele Gambini è ipoudente dalla nascita, ma ha la capacità di ascoltare i suoni anche attraverso le dita, sopperendo così al suo deficit di udito.
A trent’anni, all’improvviso, Marco Frattini si trova immerso nel silenzio. Un silenzio che arriva da lontano, una decina di anni prima quando, a 19 anni, Marco fu sottoposto a un intervento d'urgenza per l’asportazione di una massa neoplastica di circa 7 centimetri di diametro con rescissione del nervo acustico di destra e con blocco
parziale del nervo facciale destro.

Dove hai trovato la forza per reinventarti una vita? «Ci sono mille modi per affrontare le difficoltà, ma, una volta che hai trovato la strada per superarle, vince l’idea di una “vita normale”». Marco racconta un episodio di come persone più sfortunate reagiscono in situazioni disperate. «Un giorno all’Ospedale Corberi di Limbiate, dove
lavoravo come odontoiatra, si è presentata una ragazza spastica: era sulla sedia a rotelle e incapace di parlare. Aveva un foglio con stampate le lettere dell’alfabeto, i numeri, i colori e le parole “spazio”, “gira” e “da capo”. Per comunicare indicava con il dito, lentamente, le lettere che componevano le parole. Più parole davano vita a una
frase. Non c’era imbarazzo tra noi; solo un’attesa silenziosa per le parole che uscivano da quel foglio. Al termine della visita, la ragazza ha indicato di nuovo le lettere sul suo foglio e ha composto la parola “Grazie”. Ci sono persone che hanno più difficoltà di me ». E, così, Marco continua a correre. Sempre più forte.

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