Hackett 2.0, l'evoluzione: «Ora sono un uomo migliore»

Il playmaker dell’EA7 e della Nazionale alla vigilia dei playoff analizza la sua stagione a metà e le prospettive a Milano e all’Europeo
Hackett 2.0, l'evoluzione: «Ora sono un uomo migliore»© LaPresse
MILANO - Come su una panchina di un parco. Seduti su una panchina del Palalido a guardare l’orizzonte. Che per Daniel Hackett, asciugamano al collo, l’orizzonte è un canestro, ma è anche un barca e una canna da pesca. Daniel, forse senza volerlo, cita “Altro da fare” il monologo di Antonio Albanese. Cioè, non dice proprio “l’acqua del fiume, se la lasci lavorare lava via tutti i tuoi pensieri e ti rimette al mondo, nuovo”. Però il senso è quello. Emerge, Daniel, da una stagione a metà, causa la squalifica federale per aver lasciato il ritiro azzurro nell’estate scorsa. Ha ammesso, l’errore, è pronto al riscatto. Intanto ha pagato e - in parte - con lui MilanOlimpia di Armani. Un’altra mezza stagione, a Milano, lui che ama il paese, una dimensione diversa. Ma come vive, Hackett, a Milano?
«Ho imparato a gestire la mia vita fuori dal campo. La città offre tante opportunità. Sono cresciuto, sono un uomo, guardo avanti. Mi piace, Milano, la metropoli».

Eppure, se e quando può, un salto a casa, a Pesaro, lo fa.

«I momenti liberi sono pochi. Tornare a Pesaro per me significa andare da mamma, rivedere gli amici di sempre, quelli che rimarranno, ritrovare il mare, i profumi. Vado alle radici, dalla gente che mi ha visto crescere, con cui ho diviso la quotidianità. Lì sono sereno».

Nel frattempo ha conquistato anche Milano. C’è un motivo o un segreto per capire la sua empatia con il pubblico, con la gente?
«Penso di essere uno che ha mostrato più volte il proprio carattere. Si è parlato tanto e in ogni modo di me, anche in maniera fantasiosa. I tifosi hanno imparato a conoscermi e credo ad apprezzarmi perché sono uno generoso, in campo. E uno che non finge. Ma l’aspetto principale credo sia un altro. Io mostro le mie emozioni. Mi piace esprimere la gioia, la volontà di lottare. A volte mi incazzo, anche. Ecco, io penso che il tifoso voglia vedere l’identità di una persona, di un giocatore. Anche adesso che lo show business impera. La gente vuole divertirsi, emozionarsi».

Hackett, lo sapevamo, non è un pollo d’allevamento. Lei ha sofferto nella pausa. Ma anche la squadra ha trovato il vero ritmo dopo un po’ che è tornato a tempo pieno. Anche in campionato, dopo la squalifica.
«A me sembra normale. In fondo la squadra era stata costruita pensando anche alla mia presenza. Mi è spiaciuto e mi è pesato davvero non esserci. Un giocatore vuole stare in campo. Però questa sospensione l’ho vissuta come un’opportunità e una pausa di riflessione. Ho pensato a lavorare su me stesso. Ho cercato di prenderla in modo positivo e qui mi hanno aiutato tutti, a cominciare dall’allenatore Banchi. Credo di essere un uomo migliore».

Peccato per l’Eurolega, la squadra ha trovato equilibrio troppo tardi...
«Mettere assieme il talento, quando si cambia, non è facile. Serve tempo, ma ci siamo arrivati, ora la qualità del singolo è al servizio del gruppo. E così il singolo emerge. L’esempio è stata una partita di 8 assist di Ale (Gentile, ndr). L’avevo già vissuto in passato. Lo spirito di squadra è ottimo. Tutto è finalizzato all’obiettivo».



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