Dan Peterson entra dove per noi italiani era già: finalmente è nella Hall Of Fame

La cerimonia si terrà a Springfield il 14 settembre. Da coach di Virtus Bologna e poi Milano ha vinto tutto
Dan Peterson entra dove per noi italiani era già: finalmente è nella Hall Of Fame© Ciamillo

Il coach che per noi è Numero Uno ora è riconosciuto da tutto il mondo dei canestri. Dan Peterson sarà introdotto il prossimo 14 settembre nella Hall of Fame del basket a Springfield, dove il gioco è nato grazie all’idea geniale di James Naismith, il quale mai si sarebbe però aspettato nel 1891 che quell’attività per tenere in forma i ragazzi d’inverno sarebbe diventato uno sport globale acclamato in tutto il pianeta. Dan Peterson coach nell’arca della gloria cestistica dopo il Principe Cesare Rubini (che è anche nella Hall of Fame della pallanuoto da lui praticata a livello olimpionico), Sandro Gamba, Ettore Messina e Bogdan Tanjevic che è un po’ nostro come Peterson e per di più ha anche il passaporto. Tutti coach già seduti sulla panchina dell’Olimpia Milano. E in più c’è Dino Meneghin. E, restando alla nostra Serie A, della stessa classe 2024 fa parte Romain Sato, asso centrafricano che ha fatto la storia della Mens Sana Siena dopo essere approdato a Jesi.

Dan Peterson è entrato nella cultura italiana attraverso la tv, gli spot pubblicitari e soprattutto le telecronache di Nba, i suoi modi di dire innovativi e il suo stile poi imitato da molti. Ma l’allenatore è stato ancor più grande, leggendario appunto. Geniale in certe scelte (la zona 1-3-1 e i momenti in cui usarla, il quintetto piccolo, lo storico gioco L tra D’Antoni e Meneghin), straordinario motivatore e comunicatore, capace di catturare l’attenzione mediatica e popolare. Arrivato alla Virtus Bologna come seconda scelta, intuizione di quello straordinario dirigente che era l’avvocato Porelli, ha portato novità nel gioco, nella comunicazione, ha passato i migliori vent’anni (per lui 15) del basket italiano, lasciando troppo presto, nel 1987, dopo aver vinto tutto: 5 scudetti (1 Virtus e 4 Milano), 1 Coppa Campioni nell’anno del Grande Slam (da lì, l’idea di lasciare all’assistente Franco Casalini, che purtroppo ci ha già lasciati), 1 Korac (entrambe le coppe con Milano), 3 Coppa Italia. Insomma, ha scritto la sua leggenda da noi, dov’era arrivato da ct del Cile, con i pantaloni a zampa d’elefante

Mamma butta la pasta è entrato nell’immaginario collettivo. E Dan l’aveva preso da un radiocronista statunitense che soleva dire “mamma, metti il caffè sulla stufa”. Fenomenale è diventato un aggettivo rituale per i giornalisti. E “Per me numero 1” è diventato persino lo slogan di uno spot televisivo. Ma Peterson in panchina era meglio del Peterson affabulatore. Pronto a cambiare le partite con una intuizione, a rendere un punto debole (la mancanza di centimetri) un punto di forza la banda bassotti arrivò in finale scudetto contro la sua ex Virtus). Nove anni pazzeschi a Milano, ma anche cinque formidabili alla Virtus, creando un sistema e una squadra che avrebbe poi conquistato altri due scudetti con l’allievo Terry Driscoll. Innovativo in ogni senso, capace di rendere guerrieri i suoi ragazzi. Nella semifinale con Varese per raggiungere Bologna bianconera, giocò gara 3 con soli 5 uomini: D’Antoni, Sylvester, Kupec, Gallinari e Ferracini. Non ha sempre vinto, Dan. Ma ha sempre convinto con le sue scelte, difese con fermezza. Ha sbagliato solo a smettere presto, nel 1987, scelta da lui rimpianta. Peterson nella Hall of Fame per noi italiani c’era già.

 

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