Supercoppa da esportazione? Soldi e pacchi

Da Tripoli alla Cina fino a Doha: se gli interessi economici dei club non coincidono con quelli sportivi

MILANO. I guai della Supercoppa da esportazione non sono una novità: a Tripoli (estate 2002), Juve e Parma trovarono un campo da beach soccer (senza contare alla lite tra Gheddafi padre e figlio che mise in dubbio la sfida). Da dimenticare pure le esperienze cinesi tra umidità soffocante, campi di patate diventati agibili soltanto grazie al mirabile lavoro degli agronomi di Lega Calcio e riprese (curate, insieme alla produzione dell’evento, dalla tv cinese) da anni ‘70. Infine, è storia recente, la disavventura capitata al Milan che ha rovinato i piani di Montella facendo diventare un Everest la missione a Doha dei rossoneri. È la legge del contrappasso a cui devono sottostare i nostri club per far sì che la manifestazione abbia un ritorno economico apprezzabile. Al Milan hanno ragione a essere furibondi. Però, se si fosse giocato allo Stadium, chi oggi minaccia di non volare più a Doha avrebbe parlato di occasione persa. Restano comunque danneggiati per primi i tifosi, nella fattispecie quelli di Juve e Milan, che magari vorrebbero gustarsi una sfida tanto prestigiosa in uno stadio bardato a festa, come peraltro già accade per la finale di Coppa Italia, e invece devono arrendersi a piazzarsi davanti alla tv. Ma questo è un altro discorso.

Stefano Pasquino

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