Intervista a Capello: «Con Suning un'Inter da sogno»

Il tecnico in esclusiva: «Conosco la proprietà cinese: ha potenzialità enormi. Icardi sposta gli equilibri, tocca a lui convincere Wanda»
Intervista a Capello: «Con Suning un'Inter da sogno»© LAPRESSE

Capello, è passato quasi un anno dall’annuncio del ritiro dal calcio. Rimpianti? Nostalgia?
«No, è sempre l’età che ti fa prendere certe decisioni. Bisogna capire quando è il momento di lasciare. Ho avuto, dal pallone, quello che speravo, probabilmente di più. Mi sono tolto anche l’ultima soddisfazione: andare in Cina, guidare una squadra che non stava andando bene e riuscire a fare buone cose».
Già, la Cina. Suning. Toccando direttamente con mano quella realtà, che idea ti sei fatto delle potenzialità dell’Inter?
«Enormi, potenzialità enormi. Il grande capo è un uomo di intelligenza notevole, di iniziativa, con un carisma eccezionale. Dopo aver conosciuto la realtà di Suning così da vicino, posso assicurarti che l’Inter sarà al cento per cento la rivale della Juve nei prossimi anni. E non solo in Italia».
E nel frattempo è arrivato Marotta.
«Che assicura un altro salto di qualità. Vedrai che l’Inter, come la Juve, farà parte dell’élite d’Europa».
Ora però c’è il nodo Icardi. Ce la farà l’Inter a convincerlo?
«È Icardi che deve convincere Wanda... Però non c’è dubbio che Icardi sia uno dei tre centravanti che possono spostare il valore di una squadra, scegli tu gli altri due... Io farei attenzione, perché so che il Real e un paio di squadre inglesi possono mettersi in mezzo. Però, come ti dicevo, l’Inter ha un grande futuro e Icardi deve mettere anche questo sul piatto della bilancia».
Veniamo a Juve-Milan di Supercoppa. Si discute e si è discusso molto sull’opportunità di giocare in Arabia.
«Ma tutto questo si sapeva già nel momento di fare la scelta. Non c’è dubbio che sia indispensabile fare di più, molto di più, i diritti delle donne sono inviolabili, ma nel frattempo già ci sono state delle aperture e questa può diventare un’occasione in un progetto di crescita. Il processo purtroppo è lento. Solo con la rivoluzione si cambia tutto dall’oggi al domani, non si può pensare di passare dal bianco al nero senza sfumature».
In Italia è tornato purtroppo di strettissima attualità il tema della violenza.
«Io mi sono sempre opposto alla degenerazione del tifo, che anzi in certi casi non ha nulla a che vedere con il tifo. Ho conosciuto persone che hanno lasciato il loro lavoro per fare il… mestiere del tifoso, guadagnandoci sopra. Questo è business, non è più passione». E gli ululati? Purtroppo il fenomeno continua, è cronaca anche di queste ore. Ha ragione Ancelotti a chiedere di interrompere le partite? «Sono con Carlo al cento per cento. Anzi ti dico…»
Ti dico?
«C’è una cosa che non posso rivelarti: diciamo così, una cosa a cui sto lavorando, che però ho promesso di annunciare a Sky. Un’iniziativa molto interessante».
Vorrà dire che ti seguiremo. Torniamo al calcio giocato. Qual è il segreto di questa Juve che vince da tanti anni?
«Nessun segreto. Ha costruito la squadra in maniera intelligente, preoccupandosi ogni volta di migliorare. Noi pensiamo sempre a cosa sta facendo in Italia, ma la veraspia della sua grandezza è di aver giocato due finali di Champions, che poi puoi vincere o perdere. Ma l’importante è arrivare fino in fondo. E quello è il metro per capire quanto sia forte. In Italia non c’è concorrenza. Troppo facile».
In qualche modo direi che ti rivedi in Allegri.
«Sì, è vero, nella capacità di cambiare il modulo, di cambiare pelle alla squadra all’occorrenza. Allegri in tutto questo è bravissimo. Dicono: sfido, con questa macchina potente che Allegri ha a disposizione. Chiacchiere. Perché devi avere la credibilità per gestire una macchina così. Se non sei capace, i giocatori ti scaricano in cinque minuti. Credibilità: in ogni settore della vita è la qualità più importante».
Ma fa bene Allegri a restare ancora alla Juve o nel futuro dovrebbe fare un’esperienza all’estero?
«Io ho lasciato il Milan dopo cinque anni straordinari, perché la società mi disse: noi dobbiamo sempre vincere, non possiamo mai arrivare secondi. Risposi: ma come è possibile una cosa del genere? E allora Inter, Juve, Roma, Lazio, Parma, che fanno o dovrebbero fare? Fu allora che decisi di andar via, sentivo che era arrivato il tempo di cambiare. Da Roma invece no, è un’altra storia. Da Roma sono andato via dopo cinque anni perché tornavo la sera a casa dagli allenamenti e non ero contento. Non mi divertivo più. Non mi sentivo seguito e forse non riuscivo più neanche io a farmi seguire».

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