Caso Lukaku, l’Aia imbarazza Gravina e la Figc: i pasticci e il precedente

Gli arbitri applicheranno la norma sugli atteggiamenti dei giocatori in campo in risposta a insulti razzisti. Pacifici: “La grazia è prerogativa del presidente federale”

TORINO - Con buona pace di chi si è subito affannato a compulsare bizantinismi interpretativi o a cercare retropensieri disinnescanti, le dichiarazioni del neo presidente dell’Aia sono estremamente chiare e per nulla interpretabili: un calciatore che si rivolga al pubblico con segni di silenzio e gesti di qualsiasi tipo, sarà ammonito come “da regolamento”. E se non si chiama Lukaku e non vi saranno crociate mediatiche, peggio per lui. Così, a “Radio Anch’io lo Sport” su Rai Radio 1, il presidente Carlo Pacifici in risposta alla domanda se vi sia la possibilità che la classe arbitrale valuti ora in maniera diversa gli atteggiamenti in campo in risposta a insulti razzisti: «Assolutamente no, la decisione sul campo è stata presa. Poi la grazia è prerogativa del presidente federale, l’ha messa in atto perché probabilmente ha verificato tutte le condizioni e per noi non rappresenta un precedente. Da parte nostra non cambia nulla, continueremo a prendere le decisioni secondo quelle che sono le regole in atto. Chi andrà a zittire il pubblico dopo essere stato insultato sarà ammonito, lo prevede il regolamento che considera il gesto provocatorio».

Come ci comportiamo?

Proprio in relazione alla vasta eco mediatica che ha suscitato la decisione di Gravina (a sua volta figlia di una possente spinta mediatica) e al costante ripetersi di episodi razzistici (perché è il paese a pensare razzista, non solo gli stadi: sarebbe troppo bello) è evidente che la prima questione da dirimere che gli arbitri hanno posto al loro nuovo capo sia stata questa: come ci comportiamo? Si fa come se nulla fosse, gli si dà una pacca sulla spalla oppure si applica ancora il regolamento?

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La risposta di Pacifici

Inevitabile la riposta di Pacifici che - e ci mancherebbe - deve comandare agli arbitri di rispettare la forma in una questione che non consente interpretazioni. Poi, in sussistenza di questo regolamento, casomai si procederà a una serie di “grazie”; ma non si può chiedere agli arbitri di valutare personalmente con il rischio, tra l’altro, di scadere in una pericolosa e ulteriormente spiazzante soggettività. Pacifici, dunque, sceglie l’unica strada possibile riguardo alla gestione dei casi di razzismo magari sperando che, a differenza di quanto “non” è avvenuto all’Allianz, vi sia anche l’annuncio di diffida dagli altoparlanti come prevede il protocollo contro le discriminazioni.

La reazione dei giocatori

Anche quella relativa al regolamento sulla reazione dei giocatori è un argomento su cui presto potrebbero esprimersi direttamente gli stessi arbitri. Il nuovo capo degli arbitri, che ha raccolto l’eredità del dimissionario Alfredo Trentalange, ha infatti garantito che «gli arbitri parleranno di più, anche se sulle interviste post gara non sono molto d’accordo. Soprattutto non credo vadano intervistati a fine gara: ci sono troppe situazioni, c’è troppa adrenalina che potrebbe alterare l’aspetto comunicativo, ma sono pienamente convinto che noi arbitri dovremo spiegare attraverso canali diretti quelle che sono le regole del gioco e gli episodi avvenuti sul terreno di gioco».  

Fiducia nel Var

Fiducia totale, poi, nell’operato della Var con la speranza di poter estendere la tecnologia nella categorie inferiori: «È uno strumento importante per noi, ci dà la possibilità di sanare eventuali errori. È logico che deve esserci un equilibrio tra intervento autonomo dell’arbitro e Var. Il protocollo è stato aggiornato, i risultati sono positivi, ma ci sono margini per fare meglio. Il calcio giocato nei campi di provincia non ha la tecnologia a supporto e quindi le logiche del calcio sono sicuramente diverse. Dobbiamo cercare di trovare un’uniformità per evitare di avere due canali diversi».

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TORINO - Con buona pace di chi si è subito affannato a compulsare bizantinismi interpretativi o a cercare retropensieri disinnescanti, le dichiarazioni del neo presidente dell’Aia sono estremamente chiare e per nulla interpretabili: un calciatore che si rivolga al pubblico con segni di silenzio e gesti di qualsiasi tipo, sarà ammonito come “da regolamento”. E se non si chiama Lukaku e non vi saranno crociate mediatiche, peggio per lui. Così, a “Radio Anch’io lo Sport” su Rai Radio 1, il presidente Carlo Pacifici in risposta alla domanda se vi sia la possibilità che la classe arbitrale valuti ora in maniera diversa gli atteggiamenti in campo in risposta a insulti razzisti: «Assolutamente no, la decisione sul campo è stata presa. Poi la grazia è prerogativa del presidente federale, l’ha messa in atto perché probabilmente ha verificato tutte le condizioni e per noi non rappresenta un precedente. Da parte nostra non cambia nulla, continueremo a prendere le decisioni secondo quelle che sono le regole in atto. Chi andrà a zittire il pubblico dopo essere stato insultato sarà ammonito, lo prevede il regolamento che considera il gesto provocatorio».

Come ci comportiamo?

Proprio in relazione alla vasta eco mediatica che ha suscitato la decisione di Gravina (a sua volta figlia di una possente spinta mediatica) e al costante ripetersi di episodi razzistici (perché è il paese a pensare razzista, non solo gli stadi: sarebbe troppo bello) è evidente che la prima questione da dirimere che gli arbitri hanno posto al loro nuovo capo sia stata questa: come ci comportiamo? Si fa come se nulla fosse, gli si dà una pacca sulla spalla oppure si applica ancora il regolamento?

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