Calcio estero, allenare in Bangladesh: la storia di Fabio Lopez

Il tecnico italiano ha passato quattro mesi sulla panchina asiatica: «La percentuale di persone che non può permettersi neanche un pezzo di pane è altissima»
Calcio estero, allenare in Bangladesh: la storia di Fabio Lopez

TORINO - Un italiano a Dacca. I quasi dieci anni passati lontano da Roma non hanno scalfito la personalità di Fabio Lopez, la parlata è sempre la stessa. «È una delle impronte distintive della nostra cultura, non bisogna mai perderla». Il tempo è volato sulle panchine lituane, indonesiane e maldiviane. Il respiro del pallone arriva forte anche da quelle parti e quando riesci a conciliare passione e lavoro trovi sempre spazio per una nuova esperienza. L'ultima lo ha visto protagonista per quattro mesi in Bangladesh, da commissario tecnico.

Perché è finito da quelle parti?

«In Asia ho allenato per 3-4 anni e così il nome è diventato di una certa importanza. Mi contattò la Federazione, facendomi chiamare direttamente dall'uomo di fiducia del presidente»

Qual è il livello della Nazionale?

«Sotto l'aspetto calcistico è un paese che, nel sud-est asiatico, non sta avendo successo perché credo ci siano ancora dei problemi a livello manageriale anche se le potenzialità ci sono tutte: i ragazzi non sono male né dal punto di vista tecnico né da quello fisico. Se li paragoniamo ai colleghi di Malesia, Indonesia o Vietnam, devo dire che se la possono giocare tranquillamente»

In che modo ha selezionato i giocatori?

«La Federazione, quando arrivai, mi fece trovare una lista di 40 nomi dalla quale poter attingere i 23 per le qualificazioni mondiali. Poi ci furono dei tornei internazionali, anche a livello di club, che mi permisero di scegliere ulteriori calciatori. Funziona così, quando non hai gente in giro per il mondo»

Com'è stato l'impatto con la nuova realtà?

«Non è andata male, soprattutto con i giocatori. Con loro ho sempre avuto un rapporto eccellente.

Certo, esiste sempre il problema individuale perché purtroppo in campo si scende in undici, ma un allenatore deve fare le sue scelte. Ho incontrato qualche difficoltà con la dirigenza, come spesso succede all'estero»

In che senso?

«Non è come guidare una Nazionale europea, qui qualcuno prova continuamente a interferire nel lavoro del commissario tecnico. Sono due culture differenti e si capisce da sé che questo tipo di relazione non potrà essere duratura. Se si chiede di partire quattro giorni prima per andare in ritiro e questo non viene concesso, è ovvio che poi si creino degli attriti. Poi, però, pretendono i risultati...»

E sul campo?

«Noi le qualificazioni le abbiamo giocate bene, facendo delle grandi partite contro Kyrgyzstan e Australia»

Mi racconti del match contro i Socceroos...

«Hanno vinto, non c'è nemmeno da parlarne, però lo hanno fatto con difficoltà e schierando tutti i loro migliori giocatori. Per 45 minuti non hanno segnato»

Cosa vuol dire vivere in Bangladesh?

«È molto povero e fa parte dei paesi del Terzo Mondo, la percentuale di persone che non può permettersi neanche un pezzo di pane è altissima. Non è molto semplice affacciarsi in contesti del genere»

Cosa ha visto?

«Ci sono tanti bambini che finiscono per strada e molte associazioni europee provano a fare qualcosa per dare loro un aiuto. Gente che dorme sui marciapiedi, immersa nell'immondizia. Sono scene a cui non ti abitui. In Italia stiamo male se ci confrontiamo con le grandi potenze»

Che aria ha respirato in questi quattro mesi, anche alla luce della recente situazione politica?

«Sono stato fortunato perché abbiamo avuto tante trasferte tra Cina e Tagikistan e in totale ho soggiornato soltanto tre settimane. Dacca è una città che non lascia molto spazio alle uscite, fai il tuo lavoro e poi torni a casa»

Cosa è successo dopo l'attentato - rivendicato dall'Isis - a Cesare Tavella?

«Eravamo in partenza per il Kyrgyzstan, ci hanno prontamente dato sicurezza e scorta anche se non bastano a farti stare tranquillo quando si innescano questi meccanismi. Ma, come dico io, se ne esci vivo sei ancora più forte»

A novembre il governo ha deciso di censurare alcuni canali di comunicazione. Come ha vissuto questa regressione?

«È stato brutto perché tramite Viber o Whatsapp sentivo la famiglia, funzionava tutto a tratti. Sapere di questa cosa mi ha un po' privato della libertà, stessa cosa che mi è successa quando il primo ministro ha vietato agli stranieri di uscire durante le ore serali. Nessuna possibilità, quindi, di andare a cena fuori, direi che non è il massimo.

Sai, però, una cosa strana? A Dacca riuscivo a chiamare la famiglia tranquillamente tramite Viber - quando non era bloccato, anche in macchina e immerso nel traffico - mentre a Roma, a via del Corso, con la connessione dati non riesco perché la linea cade. È un terribile controsenso. Qual è il Terzo Mondo, allora?»

Il Bangladesh, per anni, è stato uno dei paesi più corrotti al mondo.

«Si percepisce ancora oggi. Magari non nel calcio giocato, ma in tutto ciò che gira attorno sì, nell'aspetto gestionale»

Ma ci sarà stato qualcosa di bello...

«L'esperienza in Bangladesh è stata positiva così come ogni tipo di esperienza perché si impara tanto. Una persona deve continuamente fare un'analisi su se stesso, su come ha lavorato: in questo modo si cresce e si migliora»

Non le manca l'Italia?

«L'Italia turistica è bella. Ha il Colosseo, piazza di Spagna, piazza del Popolo...»

E quella calcistica?

«Anche quella, da guardare in tv»

Ancora nessuna offerta?

«No, se in Italia non si entra in un certo sistema non penso si possa far parte di questo calcio. Ma il mondo, fortunatamente, è grande...»

Non ci spera?

«Penso solo a lavorare, non importa dove. Ma valuterò ogni proposta, è sempre la mia patria. All'estero continuano a cercarmi, nelle ultime settimane ho rifiutato delle offerte»

Prossimo obiettivo?

«Può darsi che ritorni in un'altra Nazionale»

Però facciamo dopo Capodanno...

«Se mi chiamano il 31, parto al volo»

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