Milan, altro che Balotelli. È Niang l'uomo in più...

Da bad boy a goleador: la parabola del francese che trascina il Milan
Milan, altro che Balotelli. È Niang l'uomo in più...© www.imagephotoagency.it

MILANO - Quante volte ci siamo trovati a scrivere che M’Ma ecMbaye Niang era un talento che rischiava di perdersi. Quante volte abbiamo raccontato le sue marachelle, equamente divise in tutte le sue esperienze calcistiche. Perché, almeno in questo, l’attaccante non ha fatto torti a nessuno. Ha fatto arrabbiare il Milan, nella sua prima esperienza rossonera; ha fatto arrabbiare la federazione francese, quando era giustamente uno dei gioctori più promettenti dell’Under 21; ha fatto arrabbiare il Montpellier, quando il Milan aveva provato a parcheggiarlo in Francia, sperando che mettesse la testa a posto. Non c’era verso di vedere sbocciare il suo talento.

PUPILLO DI BRAIDA - E invece ci aveva visto giusto Ariedo Braida, il primo a credere in lui e a convincere il Milan e Galliani a portarselo a Milanello quando ancora era un ragazzino e lo inseguivano i club di mezza Europa. Certo Donnarumma a 16 anni è titolare, nella stessa società. Ma non tutti maturano allo stesso modo e alla stessa età. Il diciassettenne Niang era davvero un bad boys: tanto da mettersi alla guida senza avere la patente. E da raccontare ai vigili che lo avevano beccato di essere, in realtà, Bakaye Traorè, suo compagno di squadra, colored come lui, per cercare di farla franca. Ma questo è solo un episodio: la sua incapacità di crescere si è manifestata anche con l’Under 21, come si accennava sopra, quando scelse di scappare dal ritiro per andare in discoteca, beccandosi una squalifica di un anno dalla Federcalcio francese. O come quando, guidando una Ferrari (stavolta almeno la patenta l’aveva...) andò a sfasciasi contro un albero, mettendo a rischio l’incolumità dei passanti e beccandosi, per quest’episodio, una condanna a 18 mesi con la condizionale.

PER UN PALO - Con questi comportamenti fuori dal campo, era oggettivamente difficile pensare che in campo riuscisse a trasformarsi. Forse, se quel giorno al Camp Nou, lanciato titolare un po’ a sorpresa da Allegri, avesse segnato, tutto solo davanti al portiere blaugrana, invece di prendere clamorosamente il palo, la sua carriera sarebbe cambiata già allora. E il Milan, magari, avrebbe centrato l’impresa, dopo il 2-0 a San Siro e quel gol-nogol che l’avrebbe portata sull’1-1 prima dell’intervallo, nel match di ritorno. Ma evidentemente, non era ancora il suo momento. Che è cominciato ad arrivare solo quando il Milan l’ha spedito a Genova, fronte rossoblu, (a Montpellier benino, ma nulla di trascendentale). Il modulo di Gasperini, due attaccanti larghi e uno centrale, è stato decisivo per la sua crescita calcistica, mentre di pari passo arrivava la maturazione come persona. E in estate, quando Preziosi ha fatto un disperato tentativo per trattenerlo, Galliani è stato fermo nelle sue posizioni: riportarlo al Milan. Anche se poi, con l’acquisto di Balotelli (Niang era infortunato, ma questo è stato ininfluente nella decisione) si è dimostrato che tutta questa fiducia, nel francese, non ci fosse.

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