L'urlo di Zlatan: «Io Ibra grazie alla Juventus, nessuno è come me»

L'attaccante dei Los Angeles Galaxy, corteggiato dal Milan, ha parlato alla BBC: «Capello mi ha fatto crescere»

TORINO - Se per molti campioni la MLS statunitense è l'anticamera della pensione, per Zlatan Ibrahimovic potrebbe rivelarsi solo una delle tante esperienze vissute in giro per il mondo. Lo svedese sembra infatti voglia di tornare a giocare in Europa e a 37 anni fa ancora gola a molti club, con il Milan a guidare la fila. E lui intanto si racconta alla BBC, in perfetto stile "Ibra": «Io vengo da un altro pianeta, lo 'Zlatan Planet', con qualche cosa che nessuno ha mai visto. Sono un ragazzo di quella zona che tutti chiamano 'ghetto'. Mi vedevano diverso, non mi facevano sentire benvenuto, ma ho mostrato loro qualcosa di diverso e ora gli altri mi seguono - ha detto l'ex centravanti di Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, Psg e United -. Quando ho deciso di andare in Inghilterra, ho parlato prima con diversi giocatori che conoscevo. Tutti mi dicevano di non andare, che non sarebbe stato un bene per la mia carriera, perché in Inghilterra si viene giudicati dopo appena una stagione. Se non fai bene la prima diranno tutti "che non servi a nulla", e che non ce l'hai fatta in Inghilterra. Queste parole hanno innescato in me la sfida: era quello che volevo sentirmi dire. Pensavano fossi vecchio; poi io, a 35 anni, ho fatto sembrare la Premier vecchia. Era una sfida e io non le ho mai rifiutate. La Premier dovrebbe esser felice del fatto che io non sia andato in Inghilterra 10 anni prima, altrimenti la sua storia sarebbe stata ben diversa»

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GRAZIE JUVE - Eppure le difficoltà sono arrivate, in una forma inedita per Ibra che però non è certo il tipo da arrendersi senza lottare: «Lo United era la squadra giusta per me: il club e la maglia che dovevo far brillare e io l'ho fatto. Lì mi sono sentito come 'Benjamin Button', stavo diventando ogni giorno più giovane. Poi, purtroppo, mi sono infortunato. Quando è successo non ho capito a cosa sarei andato incontro, perché non avevo mai avuto un infortunio serio. Ero come Superman, indistruttibile. Nessuno poteva 'rompermi'. Allora mi sono detto "questo non e' modo di smettere di giocare a calcio, voglio tornare e giocare come facevo prima"». Come ha fatto per tanti anni dopo essere esploso e divenuto campioner alla Juventus: «All'inizio della carriera non era così importante fare gol ma avere qualità e tecnica. A un certo punto è diventato diverso. Alla Juve mi hanno fatto capire 'qui siamo ad alti livelli, sei un attaccante, quindi devi darci gol. Se non li fai, non abbiamo bisogno di te'. Tutto era nuovo per me: grande squadra, grandi giocatori, grande allenatore, grande storia - ha spiegato -. Dal primo giorno di allenamento alla Juve ho sentito Capello gridare "Ibra". Prendeva i ragazzi delle giovanili e li faceva allenare con me: loro crossavano, io dovevo fare gol. Ogni giorno per 30 minuti. Io volevo solo andare a casa perche' ero stanco e non volevo piu' tirare, ne' vedere la porta e i portieri. Sentivo sempre quell'urlo "Ibra" e sapevo cosa significasse. Tiravo, tiravo».

(in collaborazione con Italpress)

 

 

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TORINO - Se per molti campioni la MLS statunitense è l'anticamera della pensione, per Zlatan Ibrahimovic potrebbe rivelarsi solo una delle tante esperienze vissute in giro per il mondo. Lo svedese sembra infatti voglia di tornare a giocare in Europa e a 37 anni fa ancora gola a molti club, con il Milan a guidare la fila. E lui intanto si racconta alla BBC, in perfetto stile "Ibra": «Io vengo da un altro pianeta, lo 'Zlatan Planet', con qualche cosa che nessuno ha mai visto. Sono un ragazzo di quella zona che tutti chiamano 'ghetto'. Mi vedevano diverso, non mi facevano sentire benvenuto, ma ho mostrato loro qualcosa di diverso e ora gli altri mi seguono - ha detto l'ex centravanti di Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, Psg e United -. Quando ho deciso di andare in Inghilterra, ho parlato prima con diversi giocatori che conoscevo. Tutti mi dicevano di non andare, che non sarebbe stato un bene per la mia carriera, perché in Inghilterra si viene giudicati dopo appena una stagione. Se non fai bene la prima diranno tutti "che non servi a nulla", e che non ce l'hai fatta in Inghilterra. Queste parole hanno innescato in me la sfida: era quello che volevo sentirmi dire. Pensavano fossi vecchio; poi io, a 35 anni, ho fatto sembrare la Premier vecchia. Era una sfida e io non le ho mai rifiutate. La Premier dovrebbe esser felice del fatto che io non sia andato in Inghilterra 10 anni prima, altrimenti la sua storia sarebbe stata ben diversa»

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