Juventus in serbo si dice Jugovic, l’uomo del rigore decisivo nella finale di Champions del 1996. «Spero che i bianconeri tornino ad alzare la Coppa così non si parlerà più con così tanta nostalgia del mio tiro dal dischetto di Roma. La Champions è strana, magari la vinci quando meno te lo aspetti. Vale per tutti, anche per la Juventus», racconta l’ex centrocampista di Juve, Samp, Inter e Lazio.
Adesso la Serbia è molto di moda negli ambienti bianconeri: grazie al suo connazionale Dusan Vlahovic. A lei chi ricorda?
«Dusan è del 2000 e sta facendo molto bene con la Fiorentina e con la Nazionale. È il centravanti Under 21 del momento assieme a Haaland. Sinceramente in Vlahovic rivedo un po’ Vieri, mio compagno nella Juventus, nell’Atletico e nell’Inter».
Su Vlahovic, dopo l'ufficializzazione del mancato prolungamento di contratto con la Fiorentina, si sta scatenando un’asta europea. In prima fila sono segnalate Juventus e Tottenham. Se Dusan le chiedesse un consiglio?
«È un ragazzo intelligente, saprà prendere la decisione più giusta per lui. Poi, ovvio, se lo chiedesse a me, la mia risposta sarebbe scontata: consiglirei lui di andare alla Juventus, uno dei due club con cui ho vinto la Champions League e che porterò sempre nel mio cuore. Però...».
Però...
«Una cosa è certa: con i serbi, e in generale con i giocatori dei balcani, difficilmente si sbaglia. Siamo gente che si adatta sempre bene ai cambiamenti. Guardate quel fenomeno di Corvino, dirigente con un fiuto immenso per i talenti, quanti affari ha fatto in Serbia. Non solo Vlahovic!».
Ai suoi tempi in Serie A giocavano tutti i migliori del mondo, mentre adesso la Premier è considerata il campionato numero uno. Perché un talento in rampa di lancio come Vlahovic dovrebbe preferire l’Italia?
«Noi serbi da voi ci troviamo sempre bene... (risata). A parte gli scherzi, a me il campionato sembra in continua crescita. La qualità è aumentata nonostante gli addii di Cristiano Ronaldo e Lukaku. Quando seguo le partite, penso a Milan-Inter dell’altra sera, mi diverto perché vedo tante cose, a partire dal lavoro di grandi allenatori».
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