Boniek, il “Bello di notte”

Per Zibì fu tris in Europa con la Juventus: Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea
Boniek, il “Bello di notte”

Figlio d’arte. Zbigniew ha il papà calciatore. Il suo vecchio, però, non lo incita a giocare: vuole che vada bene a scuola. Zibì, spesso, salta le lezioni per sfidare le altre classi. Se c’è qualche partita, è in campo. Il ragazzo si accende, ogni volta. È una trottola, sfugge qua e là. Segna da fuori, di testa, in pallonetto, saltando il portiere. Sa di avere un futuro luminoso, ma nella Polonia di quegli anni il calcio non è una vera fonte di guadagno. Papà Boniek non mette pressione, neanche vede le partite. Resiste alla tentazione di sedersi sugli spalti, d’incitare il suo piccolo, anche quando Zibì fa il suo esordio a 15 anni nella Serie B polacca. Poi il ragazzo cresce, migliora e gioca di più. Papà così è costretto ad andare in tribuna, perché suo figlio a 20 anni debutta in Nazionale. Il pomeriggio del 10 giugno 1978, a Rosario, segna per la prima volta al Mondiale - doppietta contro il Messico - mentre a Buenos Aires, poche ore dopo, due suoi futuri compagni in bianconero disegnano un triangolo perfetto per battere l’Albiceleste, che poi vincerà il torneo. Sono Paolo Rossi e Roberto Bettega. Boniek ha in mano la fiaccola del calcio polacco, prende il testimone da campioni come Lato, Lubanski, Deyna e tanti altri. In patria gioca sette stagioni con il Widzew Lodz e vince due volte il titolo nazionale: nel 1981 e l’anno successivo.

IN BIANCONERO - Prima della rassegna iridata, la Juventus lo strappa alla Roma. Intanto in Spagna Boniek illumina. Dopo aver messo in luce tutto il suo talento ai Mondiali del 1982, a Torino arriva un giocatore fortissimo. Al suo fianco c’è il padrone della Francia, ‘Le Roi’ Michel, intorno a lui tanti campioni del mondo. La Juventus è una squadra dominante, con alle spalle una società perfettamente organizzata. Col tricolore sul petto, Boniek segna due gol in Coppa dei Campioni e i bianconeri non perdono fino a che un sinistro malvagio di Felix Magath porta il trofeo ad Amburgo. La Vecchia Signora perde il treno per l’Intercontinentale, ma si consola con la Coppa Italia. La stagione successiva torna a vincere lo scudetto e gioca un’altra finale: contro il Porto, in Coppa delle Coppe. La Juve vince 2-1 e Zibì segna il gol decisivo. Quando ci sono le partite in notturna, il polacco si esalta. Dà il meglio di sé: trascina la squadra. Il tandem con Platini funziona, specialmente di sera. I due creano corto circuito, s’infiammano. Sono il fiore all’occhiello di Gianni Agnelli, che si vanta dei suoi gioielli anche con Henry Kissinger: presenta il francese come il “Bello di giorno” e Boniek come il “Bello di notte”. Il 1985 è un anno strano, perché inizia nel migliore dei modi: con una doppietta Zibì stende il Liverpool e decide la Supercoppa Europea - giocata a gennaio per incastrare i troppi impegni dei Reds -. Tre gol in tre finali, ma all’orizzonte ce n’è un’altra. In Coppa dei Campioni eliminano lo Sparta Praga ai quarti e il Bordeaux al turno successivo. In fondo, c’è ancora il Liverpool. Dopo aver vinto ai rigori contro la Roma 12 mesi prima, i Reds vogliono bissare. All’Heysel i giocatori arrivano carichi. I tifosi di più. Scrivono una delle peggiori pagine della storia del calcio e schiacciano la vita di 39 persone. Boniek neanche la vuole giocare quella partita, è costretto a scendere in campo per evitare una guerra civile. Quindi corre, anche tanto. Come al solito è imprendibile e sfugge a Gillespie, che l’atterra un metro fuori dall’area: l’arbitro Daina concede ciò che non c’è - il rigore - e Platini decide ciò che non doveva esserci - la finale di Coppa dei Campioni -. È l’ultima partita di Boniek con la maglietta bianconera: un giorno purtroppo indimenticabile. La conquista dell’Europa sa di vuoto, di tristezza, di rabbia. Eppure Zibì con la Juve vince tutto, poi saluta Torino e raggiunge il suo connazionale, Karol, che a Roma conoscono come Giovanni Paolo II.


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