"Zio” Bergomi, un baffo da leggenda

Con l'Inter debuttò in Coppa Italia il 30 gennaio 1980, due anni dopo si laureò campione del mondo in Spagna
"Zio” Bergomi, un baffo da leggenda

A quel tempo lui era un ragazzo, con due baffi da uomo. Quelli per cui Arcadio Venturi, allenatore delle giovanili dell’Inter, ad ogni partita passa una mezz'ora buona a dire agli avversari che sì, si tratta proprio di un Allievo. Quelli per cui Marini lo prende in giro senza sapere di aver appena scritto un pezzo della sua fortuna. “E tu avresti 17 anni? Ma se sembri mio zio...”. E "Zio", Beppe Bergomi lo rimarrà, per tutta la carriera. Una vita all'Inter, la sua, per 756 partite, 519 in Serie A (18 in più di Rivera), 120 in Coppa Italia, 117 nelle coppe europee. Ha affrontato 44 volte il Milan (31 in campionato, 9 in coppa Italia, 2 nel Mundialito, 1 nel Trofeo Berlusconi, 1 in amichevole), dove pure avrebbe potuto finire se a undici anni non lo avessero scartato al provino. Famiglia di simpatie milaniste, anche se l'unico vero tifoso è il fratello Carlo che non gli parla per giorni dopo avergli visto segnare il gol del 2-2 all'ultimo minuto nel suo primo derby.

VENT’ANNI IN NERAZZURRO - È una storia di incontri e di città, di persone e di posti che diventano tessitura del destino. Con Riccardo Ferri, il primo vicino di posto sul pullman al primo giorno da nerazzurro il 1° settembre 1977, ne passeranno tante in campo e fuori. Bergomi è il giocatore che tutti vorrebbero allenare. Bersellini vorrebbe convincerlo a lasciare la Primavera e passare in prima squadra. “Ti faccio marcare Bettega” gli dice. Alla fine, in Coppa Italia, marcherà Fanna al debutto. È il 30 gennaio 1980, in Coppa Italia. L'Inter viene eliminata, Bergomi chiude con una buona prestazione e un salvataggio sulla linea. Un anno dopo, contro il Como il 22 febbraio 1981, Vierchowod costringe Oriali a uscire per infortunio. Bersellini, che gli ha insegnato anche a usare il sinistro, fa scaldare Pancheri, ma cambia idea e fa scaldare Bergomi. L'Inter va sotto 1-0 ma vince 2-1. La storia prende velocità. Debutto in Europa il 4 marzo 1981, marca Petrovic, perno dell'attacco della Stella Rossa in Coppa Campioni. Al Bologna, il 10 gennaio 1982, segna il primo gol in Serie A: angolo di Prohaska, e colpo di testa che scatena una gioia che fanno sciogliere anche il timido Bergomi. «Cominciai a correre per il campo come un pazzo, mi fermò l'abbraccio dei compagni». Bologna torna nella sua storia. Qui l'8 ottobre 1986, contro la Grecia, segna una doppietta da attaccante vero in nazionale. Qui, a nemmeno 23 anni, mette per la prima volta la fascia di capitano in azzurro. Contro il Bologna, al termine della stagione 1998-99 in cui ha visto passare quattro allenatori (Simoni, Lucescu, Castellini, Hodgson) gioca quella che resterà la sua ultima partita all'Inter. L'Inter vince 3-1, una bandiera si ammaina senza che fosse ufficiale, senza troppe celebrazioni.

 

CAMPIONE DEL MONDO - Il secondo stadio più grande d'Europa, il Zentralstadion di Lipsia in cui sugli spalti scavati in una collina artificiale possono entrare fino a 120 mila spettatori, accoglie la sua prima presenza in nazionale il 14 aprile 1982. Entra al 61' al posto di Marangon, la Germania Est vince quell'amichevole 1-0 ma per Bergomi esserci è già una vittoria. È una rivincita, nella città in cui due anni prima aveva appreso la notizia peggiore possibile, la morte del padre Giovanni. Gli resta il cruccio che il padre non abbia fatto in tempo a vederlo campione del mondo, gli rimane una grande lezione, fare i conti con le proprie paure è il primo passo per affrontarle. Accoglierle è l'inizio della rielaborazione. Il mito dello Zio inizia alle 17,15 del 5 luglio 1982 allo stadio Sarrià di Barcellona. È il 34', l'Italia sta affrontando il Brasile, si fa male Collovati. Entra Bergomi, Bearzot gli chiede di marcare Serginho, uno con un braccio grosso quanto le cosce dello Zio. Ma Bergomi non è un diciottenne normale. Non si fa condizionare nemmeno quando una sua leggera, involontaria deviazione favorisce il pareggio di Falcao. Serginho esce, entra Paulo Isidoro e lo Zio passa a marcare Socrates, il filosofo della democrazia corinthiana. Al 74' l'Italia guadagna l'unico corner del match, in Italia si fa silenzio, Bergomi la sfiora e non è l'unico, Rossi corregge il tiro di Tardelli, la storia porta dritti al Bernabeu. A tre ore alla finale, sempre contro la Germania, quella occidentale di Briegel e Rummenigge, con cui giocherà una delle sue partite più belle all'Inter, un 4-0 nel 1984, da libero, ruolo in cui l'ha impostato Castagner scoprendo solo anni dopo di avergli cambiato la carriera. Antognoni le ha provate tutte per essere in campo, ma non ce la fa. Bearzot, cui quel ragazzo misurato piace, lo fa giocare titolare. Gli chiede di marcare proprio Rummenigge, lo rende campione del mondo appena maggiorenne, il più giovane di sempre dopo Pelè.

 

I TRIONFI CON L’INTER - Insegue già allora la perfezione, all'Inter dà serenità al gruppo, è a lui che il compagno di camera Bagni si rivolge a lungo nella fase del passaggio da terzino a mediano. All'Inter vince lo scudetto del 1989 con il record di punti nei campionati a 18 squadre (58, due per vittoria), poi nella festa conosce Daniela, ragazza di Cusano Milanino come Trapattoni, l'allenatore dello scudetto, uno dei tre più influenti nella sua carriera, che diventerà sua moglie. Per la gioia della mamma che non pensava di vederlo sposato. Vince la Coppa Italia del 1982, la Supercoppa del 1989 e tre volte la Coppa Uefa, nel 1991, 1994 e 1998. La vince a Parigi, l'ultima, contro la Lazio. In quella Parigi in cui si riprenderà anche la nazionale, a sette anni dall'ultima partita, dalle sei giornate di squalifica per la sua prima squalifica in azzurro, una reazione dopo le provocazioni all'ultimo minuto a Oslo nel 1991. Da allora, viene quasi dimenticato ma torna a giocare un Mondiale a 35 anni. Il Mondiale della maturità per il ragazzo diventato uomo, baffo o non baffo.

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