Se la Nazionale diventa un fastidio

Il commento di Tony Damascelli
Se la Nazionale diventa un fastidio

TORINO - Che fastidio, gioca la Nazionale di calcio. Interrompe la sana attività del campionato di serie A, toglie il gusto dell’insulto, ci priva del talk show pieno di belle facce e vuote parole, sottrae il perfido piacere della moviola tra rigori e sputi. Giocano gli azzurri, una brigata di italiani reduci e sopravvissuti all’invasione straniera e nemmeno di grande qualità, come accadeva nel passato, ormai remoto. Siamo alla ricerca di un’identità di squadra, Indiana Jones Antonio Conte non ha pietre verdi da inseguire ma si trova in una situazione molto imbarazzante e non soltanto per le scelte ridotte.

I club se ne fregano, la Nazionale, come detto, è un fastidio, una zanzara fuori stagione, dunque le convocazioni disturbano gli allenatori, intossicano i sistemi di allenamento e poi c’è il rischio che i ragazzi impegnati in azzurro si infortunino e allora le maledizioni si odono dal Caucaso fino a Calascibetta. L’ultimo ad abbandonare il ritiro è stato lo scugnizzo Insigne con un ginocchio ammaccato e le solite ombre di pressioni del Calcio Napoli perché tornasse a casa, così da curarsi al meglio, perché anche i calciatori so’ piezz’ e core. Il fatto è che tutti i presidenti e direttori sportivi o amministratori delegati sono fieri di illustrare il loro parco macchine, questo è nazionale argentino, questo cileno, questo olandese, questo tedesco, quest’altro orgoglio della nostra patria. Serve per la propaganda e per le didascalie delle fotografie da inviare alle redazioni, le televisioni riportano le immagini gloriose delle partite internazionali.

Qui finisce l’avventura perché appena il campionato si ferma, dovunque mica soltanto in Italia, cominciano le paturnie, allora la malasalute, più che malasanità, è un fattore di riconoscimento, uno ha l’influenza, l’altro mal di denti, uno ancora dolori muscolari, magari erano arrivati con qualche minuto di ritardo all’appello ma partono in anticipo e a gran velocità quando debbono rientrare nelle rispettive dimore. La fidelizzazione è un sostantivo sconosciuto, la nazionale non serve se non nella fase finale degli Europei e dei Mondiali, per tutto il resto della stagione è come ricevere improvvisamente ospiti inattesi, gente che si presenta con il pacchetto di dolci e dunque sai che devi apparecchiare tavola. Conte lo ha capito, per amore dell’Italia continua il lavoro, per lui è un impegno morale oltre che professionale. Non gli manca il campo tutti i giorni, gli manca l’affetto, il coinvolgimento di tutto il mondo calcistico che si desta, come l’Italia, soltanto al momento delle trasferte, quando a bordo dell’aereo salgono personaggi improbabili, una coda di very important person che tifano novanta minuti per questa squadra e quindi tornano a faccende ben più serie e impegnative.

Il disamore tra il calcio dei club e quello della Nazionale è antico, tutti gli allenatori hanno passato questa malattia, alcuni allineandosi ma in situazioni meno clamorose di quelle attuali. Perché, appunto, Insigne è l’unico titolare italiano del Napoli, perché, nella Fiorentina del Della Valle che parla del made in Italy, sono titolari 3 italiani, nell’Inter dopo Santon è tutto stranger, e siamo alle prime due in classifica, il resto non è meglio se non peggio. Dunque a parte Mameli gli altri sono tutti rappers senza alcun affetto per l’inno. Baku non è distante oltre tremila chilometri dall’Italia. Molto, molto di più.

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