Stadi Serie A, inchiesta: fuori dal tempo e da pensionare, l'età media 66 anni

Anche considerando gli ultimi grandi lavori di rifacimento, si arriva a quasi 40 anni! E oltre a essere inadeguati, sono anche mal serviti. Imbarazza il confronto con l’estero

TORINO - Questa cosa degli Europei 2032 potrebbe alla fine, davvero, rivelarsi un punto di svolta (obbligatoria) per il nostro calcio. Un’ancora di salvezza. Europei 2032 organizzati in tandem dall’Italia e dalla Turchia. Inciso: molti si stupiscono di questa strana accoppiata. In realtà da che Mediterraneo è Mediterraneo (o Mare Nostrum), Roma e Istanbul (pardon, Costantinopoli già Bisanzio) hanno avuto parecchio in comune. Per dire: Costantino, che in un certo senso l’Istanbul capitale l’ha fondata, era un imperatore romano. Il problema semmai - excursus storiografico a parte - è che se non ci si dà una mossa, beh, di antichità romane degne dell’Anfiteatro Flavio (alias er Colosseo) si finirà per parlare anche in merito alla più parte degli impianti deputati ad ospitare le partite del torneo continentale. O comunque, in generale, del nostro campionato. E... bene inteso: se non ci sarà un cambio di rotta in tempi brevi, si prefigura persino il rischio che l’opzione Italia venga ripensata in vista del 2032. Nell’ottobre del 2026, infatti, la Uefa verificherà il livello di sufficienza degli stadi e potrà eventualmente decidere di revocare la candidatura.

Stadi, Italia indietro

Inutile girarci intorno: gli stadi italiani sono per lo più vecchi. E mal serviti. Addirittra: “mal pensati”, se consideriamo quelli con piste d’atletica che impongono ai tifosi di immaginare le giocate più che di vederle. I numeri lo dicono chiaro e tondo. Se consideriamo l’anno di inaugurazione degli impianti dei club che militano attualmente in Serie A riscontriamo che l’età media è di 66 anni. Classe 1958, insomma. Sì, ok. Vero. Quel 66 lo si ottiene senza tener conto che gli impianti sono poi stati ristrutturati in maniera anche massiccia. Pensiamo ad esempio all’Olimpico-Grande Torino, nato nel 1933 e rifatto pressoché in toto nel 2005. Ma anche riaggiornando le medie con le ultime grosse iniziative di restauro viene fuori che gli impianti hanno una età media di circa 40 anni e che da più o meno 20 (sempre in media) non sono oggetto di interventi di un certo livello tesi ad adeguarli a standard Uefa. Chi ha coperto un settore, chi ha dipinto la curva d’atletica, chi ha ampliato gli spogliatoi... Ma, sostanzialmente, le strutture di base sempre quelle di 40 anni fa e oltre restano. Così come le location e le infrastrutture circostanti. La mente torna per lo più alla fine degli Anni 80 quando, in vista dei mondiali di Italia 90, s’è dato mandato agli architetti di dare sfogo alla creatività.

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Andare allo stadio in Italia è un'esperienza mistica

Chi li frequenta, gli stadi, lo sa. E non ha bisogno di particolari dati anagrafici per giudicarli. Salvo rare eccezioni, infatti, chi frequenta gli stadi, può riflettere sulla pessima condizione in cui versano mentre cerca parcheggio chissà dove o si appresta a pagarlo chissà quanto; oppure mentre attende la partenza di un pullman che, già sa, troverà gremito alla soglia dell’insaccato; oppure - partita finita - mentre prova invano a convincere via smartphone una intelligenza artificiale del fatto che lui avrebbe bisogno di un taxi in tempi più o meno ragionevoli. Il povero tapino rischia suo malgrado d’aver avuto modo di rimuginare anche su un’altra esperienza mistica vissuta durante il match: la necessità di gestire il sopraggiungere di impellenze corporali. Sì, insomma: dover andare in bagno. Apriti cielo. Prima c’è il dubbio amletico: perdo il recupero del primo tempo e provo ad anticipare la coda o resisto epperò mi infilo nella transumanza da post-duplice fischio? Poi c’è la prova idrogeologica: ché solitamente in quei bagni si ha l’impressione di galleggiare, viste le pozzanghere che t’accolgono già solo all’avvicinarsi all’ingresso. Non parliamo infine di ascensori, barriere architettoniche e compagnia limitante. Sennò le due pagine non bastano e tocca scrivere un inserto.

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Italia, ecco chi ha gli stadi di proprietà

Colpa dei club? No, in realtà no. O, quantomeno, non soltanto e non nella parte maggiore. Anche perché sono ben pochi quelli che possiedono lo stadio in cui giocano: c’è l’Allianz Stadium della Juventus, c’è il Mapei Stadium del Sassuolo, c’è il Bluenergy Stadium dell’Udinese, c’è il Gewiss Stadium dell’Atalanta, c’è il Benito Stirpe del Frosinone. Sono questi gli esempi virtuosi degli ultimi anni. Le altre società sono in attesa. Vari gradi, d’attesa. Si va da chi ha già preparato un progetto vero e proprio a chi ancora si lambicca con studi di fattibilità. Se non, addirittura, è invischiato nelle schermaglie con le istituzioni locali per individuare l’area edificabile o spuntare permessi. Chiedere - per credere - a Roma, Milan, Inter, Cagliari, Bologna, Firenze. A proposito. Ieri Sala ha parlato di San Siro: "Non vorrei mai arrivare a vendere lo stadio. È evidente che noi oggi abbiamo un vincolo, che è un contratto d’affitto fino a giugno 2030. Ma se le squadre veramente decidessero di andare via e ci comunicassero formalmente che loro ormai sono su un altro orizzonte, io non potrei rischiare di creare un danno erariale e arrivare all’ultimo momento a trovare il compratore". Fatto sta, comunque, che al momento in Italia - tra Serie A e Serie B - la percentuale di stadi di proprietà è di circa il 25 per cento mentre all’estero è dell’80 per cento. La differenza è clamorosa. Occorre colmare il divario quanto prima. Lo chiede l’Europa, lo chiede l’Uefa, lo chiede chi vorrebbe andare in bagno senza perdersi un gol nel recupero mentre cammina sulle acque (di scarico).

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TORINO - Questa cosa degli Europei 2032 potrebbe alla fine, davvero, rivelarsi un punto di svolta (obbligatoria) per il nostro calcio. Un’ancora di salvezza. Europei 2032 organizzati in tandem dall’Italia e dalla Turchia. Inciso: molti si stupiscono di questa strana accoppiata. In realtà da che Mediterraneo è Mediterraneo (o Mare Nostrum), Roma e Istanbul (pardon, Costantinopoli già Bisanzio) hanno avuto parecchio in comune. Per dire: Costantino, che in un certo senso l’Istanbul capitale l’ha fondata, era un imperatore romano. Il problema semmai - excursus storiografico a parte - è che se non ci si dà una mossa, beh, di antichità romane degne dell’Anfiteatro Flavio (alias er Colosseo) si finirà per parlare anche in merito alla più parte degli impianti deputati ad ospitare le partite del torneo continentale. O comunque, in generale, del nostro campionato. E... bene inteso: se non ci sarà un cambio di rotta in tempi brevi, si prefigura persino il rischio che l’opzione Italia venga ripensata in vista del 2032. Nell’ottobre del 2026, infatti, la Uefa verificherà il livello di sufficienza degli stadi e potrà eventualmente decidere di revocare la candidatura.

Stadi, Italia indietro

Inutile girarci intorno: gli stadi italiani sono per lo più vecchi. E mal serviti. Addirittra: “mal pensati”, se consideriamo quelli con piste d’atletica che impongono ai tifosi di immaginare le giocate più che di vederle. I numeri lo dicono chiaro e tondo. Se consideriamo l’anno di inaugurazione degli impianti dei club che militano attualmente in Serie A riscontriamo che l’età media è di 66 anni. Classe 1958, insomma. Sì, ok. Vero. Quel 66 lo si ottiene senza tener conto che gli impianti sono poi stati ristrutturati in maniera anche massiccia. Pensiamo ad esempio all’Olimpico-Grande Torino, nato nel 1933 e rifatto pressoché in toto nel 2005. Ma anche riaggiornando le medie con le ultime grosse iniziative di restauro viene fuori che gli impianti hanno una età media di circa 40 anni e che da più o meno 20 (sempre in media) non sono oggetto di interventi di un certo livello tesi ad adeguarli a standard Uefa. Chi ha coperto un settore, chi ha dipinto la curva d’atletica, chi ha ampliato gli spogliatoi... Ma, sostanzialmente, le strutture di base sempre quelle di 40 anni fa e oltre restano. Così come le location e le infrastrutture circostanti. La mente torna per lo più alla fine degli Anni 80 quando, in vista dei mondiali di Italia 90, s’è dato mandato agli architetti di dare sfogo alla creatività.

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