Gasperini: «100 di queste Atalanta»

Intervista esclusiva al tecnico dei nerazzurri. Oggi l'allenatore di Grugliasco compie 61 anni e ci racconta il suo calcio. Sotto contratto sino al 2021, ha stregato Bergamo con la sua squadra: «Io voglio un gran bene a Percassi, l'importante è che rimanga a vita. Auguro alla Juve di vincere la Champions. Mou o Guardiola? Guardiola. Milito o Icardi? Milito. Scirea unico. Buffon il migliore. Mancini? Interessa alla Roma e non solo alla Roma. Spero resti in Italia»
Gasperini: «100 di queste Atalanta»© Marco Canoniero

Gian Piero Gasperini nato a Grugliasco il 26 gennaio 1958, 61 anni. Evito la domanda banale sul regalo che ti aspetti. Mi incuriosisce di più sapere se oggi ci sarà tempo per un brindisi in ritiro oppure il calcio non ammette distrazioni.
«Scherzi? Assolutamente brindisi. Ti confesso che mi hanno fatto più effetto i 60 anni, compiuti lo scorso anno, ma anche a 61… Sai qual è l’unica cosa che mi disturba? E’ che non posso più fare un mutuo lungo. Non me lo darebbero mai...».

Però almeno si evita una scocciatura: star lì a far troppi programmi.
«Verissimo. Ho passato una vita a fare programmi, a fissare traguardi. Così però ti bruci gli anni, i mesi. Le settimane volano via e neanche te ne accorgi. Molto meglio vivere di presente. E il mio presente, come ti dicevo, è in quel brindisi che farò in ritiro con lo staff, con i giocatori. Poi, lunedì, si festeggia in famiglia».

Sportivamente parlando, il momento più bello di tutti questi anni?
«Spero che il momento più bello sia quello che deve ancora arrivare, a fine campionato. Ho avuto la fortuna di viverne tanti di momenti belli, a Crotone, al Genoa, poi ne è seguito sempre un altro, e poi un altro. Sono stato molto fortunato».

E, sempre sportivamente, il momento più brutto?
«Ho avuto una carriera in crescendo. Solo due stop, all’Inter e al Palermo. Il primo momento brutto, quello all’Inter, però è come se non ci fosse mai stato. Non lo considero neanche.Troppo breve. Non lo metterei neanche tra le voci della mia carriera. Giugno e luglio sono andati via senza il campo, ad agosto abbiamo cominciato a lavorare e in dieci giorni - tra Palermo e Novara - è finito tutto. Nonostante in quella squadra ci fossero tanti giocatori in declino, io credevo che lavorando si potesse fare bene. Ma avrei dovuto avere un po’ più di tempo. Anzi, un po’ di tempo. Dieci giorni sono niente. Non la considero neanche un’esperienza. Forse un’esperienza solo comportamentale».

Per come ti ha trattato la società?
«Moratti l’ha fatto in buona fede, ma per me è stata una cosa troppo pesante. La verità è che in quel momento era in crisi il modello Inter, tanto è vero che negli anni successivi non mi sembra che le cose siano andate meglio, anzi di strisce negative, molto più negative, ce ne sono state parecchie. Io ho provato a cambiare quel modello che non funzionava più, nel modo di allenarsi e di giocare. Ma evidentemente ero distante da quello che volevano conservare. E, come ti dicevo, Moratti lo capisco anche. L’Inter è la sua vita e in quel momento era ancora legato a un modello che gli aveva dato tante gioie e faticava a staccarsene».

E’ vero, mi sembra evidente che il problema non fossi tu, come poi hanno dimostrato gli infiniti, e infruttuosi, cambiamenti dell’Inter. Anzi, per l’Inter - visti invece i tuoi risultati - mi viene da pensare che sia stata una straordinaria occasione persa.Ma da lì è nata la storia, clamorosamente sbagliata, di Gasperini non adatto alla grande piazza.
«Macchè, una sciocchezza. Io all’Inter è come se non ci fossi mai stato».

Poi, mi dicevi, a Palermo.
«A Palermo sì, è stato invece l’unico anno in cui non sono riuscito a lavorare. Ho perso tutti e due i genitori in venticinque giorni e passavo il tempo a viaggiare per correre da loro in ospedale. Non ero sereno e dunque non ho dato il meglio di me stesso».

La persona più bella incontrata in tutti questi anni?
«No, non ti faccio un nome perché farei un torto a tanti altri. In tutti gli ambienti ho conosciuto belle persone. Il mondo del calcio è meglio di come viene spesso rappresentato. A me piace quasi tutto. Mi piacciono le relazioni giuste con il presidente, i giocatori, i dirigenti, i direttori sportivi, i colleghi, con tanti amici-tifosi o tifosi- amici che ho conosciuto. Con i giornalisti. Con parecchi giornalisti…».

Hai cominciato nelle giovanili della Juve con Paolo Rossi. Cos’è che poi fa la differenza tra un campione e un buon calciatore?
«Paolo Rossi era un po’ più grande di me. Diciamo che giocavo con Marocchino, un altro molto bravo. Di grandi giocatori ne ho conosciuti tanti. Ciò che conta e fa la differenza, è soprattutto la testa».

E allora diciamo che ci hai messo più testa nel fare l’allenatore, visto che sei un ottimo allenatore, piuttosto che da giocatore. Visto che sei stato un buon giocatore.
«Forse sì. Da calciatore ho fatto buone cose, sono stato anche protagonista a Palermo, a Pescara: avevo qualità tecniche, ni è mancato un po’ di allenamento in più».

Dimmi la verità, senza diplomazia. Avere Percassi, cioè un ex giocatore di buon livello come presidente, è un vantaggio o un disagio?
«Un vantaggio, ma non perché è stato un ex calciatore di buon livello. Ma perché è in assoluto una delle migliori persone che ho incontrato in questo mondo. E’ un imprenditore straordinario, uno che conosce il valore del lavoro. E’ una persona di un’affidabilità assoluta. E c’è una grande sintonia nei comportamenti. E poi è uno dei pochissimi presidenti innamorati davvero della loro squadra».

Già, non sono rimasti in molti.
«E’ questo che intendevo. Erano così Berlusconi, Moratti, Sensi. E’ così Agnelli, uno che è nato con la Juve. E’ così Percassi, uno che ama, vuole un bene pazzesco alla sua squadra. E’ un grande. Ricordo l’anno che ero, eravamo, in difficoltà. Lo chiamai la sera prima della partita col Napoli per dirgli che avrei fatto giocare tutti insieme i ragazzi: Petagna, Gagliardini, Conti, Kessie, Caldara. Lui non disse una parola. Solo due giorni dopo mi ha confessò di non aver dormito tutta la notte. Fortunatamente è andata bene. Anzi, no, non fortunatamente... Io ero sicuro che quella fosse la strada giusta».

E allora facciamo un gioco. Viene Percassi e ti dice: firma a vita. Accetti o dici no perché nel calcio e nella vita non bisogna mai privarsi della possibilità di sperimentare?
«Oh, Percassi me lo ripete in continuazione questa cosa di firmare a vita. Lo dice convinto, da imprenditore serio e affidabile qual è. Io però so bene che nel calcio contano i risultati...».

E dunque diresti no.
«Direi una cosa: l’importante è che Percassi resti a vita all’Atalanta, non io».

Lo sai che a Roma, con il massimo rispetto per Simone Inzaghi, c’è un partito che ti vorrebbe alla Lazio?
«Stimo moltissimo la Lazio, Così come stimo moltissimo Inzaghi. Malgrado abbia un buon rapporto anche con Lotito, la Lazio è una delle poche squadre con cui non ho mai avuto neppure un contatto».

Bergamo è una città bellissima e una piazza importante. Ma la Capitale avrebbe un fascino, un richiamo, particolare?
«Vedi, a me affascinano gli stadi pieni, non è importante che siano grandi o no. Te lo dico perché è stato un colpo al cuore vedere San Siro mezzo vuoto nella partita dell’Inter o vedere la stessa cosa a Marassi per Genoa- Milan di lunedì».

A San Siro è successo per tutto quello che è accaduto prima e durante Inter-Napoli.
«Sono due discorsi differenti. Prima della partita ci sono stati gli scontri, a due chilometri dallo stadio, che hanno riguardato pochi e devono essere di competenza delle forze dell’ordine. Gli ululati invece riguardano più persone, ma secondo me non c’entrano nulla col razzismo. Il razzismo è un’altra cosa, quello è più che altro un problema di educazione».

Gli ululati a Koulibaly non li consideri una manifestazione di razzismo?
«No, io no. Gli ululati sono come le offese, e sapessi quante ne ho sentite - il coro figlio di…, quando è andata bene - rivolte ai grandi giocatori. Quante ne hanno sopportate Del Piero o Totti? Io penso che sia un modo, deprecabile, per innervosire il miglior giocatore avversario, esattamente come le offese di cui ti dicevo. Ma come fa ad essere razzista uno che nello stesso momento fa il tifo per Asamoah o nel nostro caso, magari, per Zapata? Il razzismo è un’altra cosa, molto più seria».

Fatto sta che sarebbe giusto, come dice Ancelotti, interrompere le partite. Perché una cosa così non è ammissibile.
«Hai ragione, non è ammissibile, ma il problema non si risolve chiudendo uno stadio o una curva».

Torniamo al campo. Io credo che l’Atalanta giochi il miglior calcio verticale del campionato.
«E’ un complimento che mi prendo molto volentieri. Mi fanno ridere quelli che dicono: mi interessa vincere, non giocar bene. Se non giochi bene, è improbabile che tu riesca a vincere. Può succedere una volta, ma solo per caso. Se giochi bene e perdi, credi a me, la volta dopo vinci».

Ho anche l’impressione che l’Atalanta corra più degli altri. O forse sappia correre meglio.
«Diciamo che abbiamo un’organizzazione che ci permette di avere equilibrio anche nel modo di correre».

Facciamo un altro gioco. Sei l’allenatore avversario dell’Atalanta. Sapresti come colpirla? L’Atalanta ha un punto debole?
«Magari fosse uno solo. Abbiamo più di un punto debole, che naturalmente non ti dico. Se non avessimo punti deboli, vinceremmo tutte le partite».

Però ve le giocate tutte.
«Questo sì, ed è un altro bel complimento. Ce le giochiamo tutte».

Ma l’Atalanta è secondo te davvero da Champions League?
«In questo momento siamo otto squadre in pochi punti, per cui dobbiamo tutti pensare ad arrivare in Europa. Che Milan, Lazio, Roma, Atalanta, Fiorentina, puntino all’Europa è una cosa evidente. La sorpresa sarebbe se ci arrivasse il Parma. Adesso siamo tutti lì, ma da febbraio la classifica comincerà a sgranarsi».

Cosa deve o può fare di più l’Atalanta per arrivare all’obiettivo?
«Siamo in un bel momento, giochiamo con fiducia. Facciamo un sacco di gol e siamo il miglior attacco, addirittura davanti alla Juve. Come mentalità, come modo di stare in campo, non possiamo fare tanto di più. Possiamo avere ancora una evoluzione dal punto di vista tecnico. Allenandosi ci si può migliorare tecnicamente, aumentando la fiducia nelle giocate, nel controllo della palla, nel calciare in maniera ancora più precisa. Se acquisti fiducia, puoi ancora crescere».

Ma qual è la differenza tra un grande allenatore e un buon allenatore?
«La scuola italiana degli allenatori è di primissimo livello. Ho conosciuto molti allenatori in Europa, ma a parte le eccezioni, credo che la scuola italiana sia appunto un’eccellenza. L’allenatore più bravo è quello che riesce a catturare la fiducia del gruppo e a far passare quell’input per migliorare continuamente».

In percentuale quanto contano la società, lo staff tecnico, i giocatori e l’ambiente?
«Non mi far fare percentuali. Ma la società conta più di tutte le altre componenti. Poi Staff, giocatori e ambiente allo stesso livello».

Il tecnico più bravo che hai incontrato in tutti questi anni?
«Catuzzi. E’ stato un rivoluzionario. Io l’ho incontrato a Pescara e giocava a zona, zona pressing, quando nessuno la faceva in Italia. Lui, ti dicevo, ha importato la zona pressing, poi nell’85 è arrivato Sacchi a Parma. L’anno dopo gli alfieri di questo calcio erano il Pescara di Catuzzi e il Milan di Sacchi. E pensare che né Catuzzi e né Sacchi hanno giocato davvero a calcio».

Fammi scherzare. Mi vuoi dire che, studiando, potevo diventare... anch’io un buon allenatore?
«Senza dubbio. Prima di loro, gli allenatori erano quelli che portavano in panchina le loro esperienze da calciatori e bisognava aver necessariamente giocato. Dunque il terzino fluidificante, il mediano, l’incontrista, l’ala. Loro hanno cambiato tutto. Poi è arrivato Galeone, che a tutto questo ha aggiunto anche il suo coraggio».

Adesso arrivo alla domanda scontata. Puoi scegliere: battere la Roma e fare un grande salto in campionato o battere la Juve e arrivare alla semifinale di Coppa Italia. Cosa scegli?
«Dobbiamo fare tutte e due le cose».

Però devi scegliere.
«Arrivare in Europa attraverso la Coppa Italia vorrebbe dire vincerla. Sarebbe fantastico. Quindi dovrei dirti battere la Juve. Però…».

Però?
«Però ci sarebbero ancora una semifinale e una finale. Realisticamente è forse meno difficile arrivare in Europa attraverso il campionato».

Svelami una cosa: farai turnover?
«Bah, credo di no. Noi non abbiamo la rosa della Juve o anche della Roma. Noi non siamo tanti: in 20, compreso Tumminello che forse manderemo a giocare e due Primavera, proprio perché ho preferito responsabilizzare tutti. Diciamo che in tutte e due le partite metterò la squadra migliore».

Tra i migliori c’è Mancini. Davvero può fare la fortuna anche di una squadra che gioca in Champions?
«Sta facendo grandi cose, perché Bergamo è una palestra fenomenale. Però bisognerebbe dargli il tempo di ambientarsi. Tutti, compreso Platini, hanno avuto bisogno di tempo per dimostrare il proprio valore».

A Roma si dice che lo voglia fortemente la Roma. A Bergamo che si dice?
«Si dice anche qui. E’ vero, la Roma finora è quella che ha dimostrato maggiore interesse. Però non c’è solo la Roma. Lo vogliono anche in Italia e all’estero».

E tu che gli consigli: l’Italia o l’estero?
«Io sono un difensore del calcio italiano. E allora spero che resti in Italia».

Ma è possibile che Mancini possa andare alla Roma anche in questa settimana finale di mercato a gennaio?
«Ad oggi mi sembra molto, molto, difficile. La Roma deve, dovrebbe, dimostrare davvero un grande innamoramento per il giocatore... Vediamo: negli ultimi giorni il mercato può anche impazzire. Ma, come ti dicevo, mi sembra difficile».

Però, ed è un complimento per te, si dice anche che i giocatori all’Atalanta sembrino più forti o comunque rendano di più a Bergamo di quanto succede quando vanno fuori.
«Non credo sia così. l’importante come ti dicevo, è dargli tempo. Mi piace che ci sia questa rivalutazione dei giovani italiani. E’ importante però che giochino anche in squadre che fanno la Champions, solo così acquisiscono l’esperienza giusta».

Ma è vero che Zapata è cambiato ed esploso dopo la dieta?
«Zapata è uno di quei calciatori, encomiabili, che hanno lavorato molto. All’inizio ha avuto qualche difficoltà, che ha deciso di superare attraverso il lavoro. Non ho mai visto, in vita mia, uno sudare come lui! Una fontana! Ha buttato fuori tanti di quei liquidi… Adesso suda molto di meno».

Qual è la sua dote e qual è il suo difetto?
«La sua grande qualità è di essere rimasto sempre se stesso. Era tranquillo, e lavorava, quando le cose non andavano bene; è tranquillo, e lavora, adesso che le cose vanno benissimo. E’ un ragazzo eccezionale, serio, legato alla famiglia. Uno giusto».

Ma è pronto, diciamo così, anche per giocare magari nella Juve? In un dream team, per intenderci.
«Nella rosa della Juve potrebbe starci benissimo. Per essere un top, cioè essere protagonista in una squadra di campioni, deve soltanto fare altri 14 gol nell’Atalanta… Poi può anche essere pronto per giocare nella Juve».

Si dice che gli allenatori si dividano in italianisti e in sacchiani. Forse Allegri, Ancelotti, tu, siete la terza via.
«Queste sono divisioni che andavano bene fino a un po’ di tempo fa. Il calcio cambia continuamente. Guarda una partita di cinque anni fa. ti sembrerà clamorosamente sorpassata. Il calcio è aggiornamento continuo».

Ma tu quanto allenerai ancora? Quanti anni?
«Come ti dicevo vivo di presente. Teoricamente non così tanti».

Ma ambisci a una squadra che punta stabilmente a una Champions?
«Mi piacerebbe, questo sì, giocare una Champions. Il massimo sarebbe giocarla con l’Atalanta, ma la strada più veloce potrebbe essere un’altra. Perchè, fammelo dire, la Champions non è un obiettivo autentico dell’Atalanta. Anche se, come ti dicevo, mi piacerebbe un sacco farlo qui».

Ma domani ti richiama l’Inter, oppure ti chiamano la Juve, il Milan, il Napoli, la Roma, la Lazio. Percassi capirebbe?
«Io so che Percassi mi vuole bene, dunque se succedesse… Però anch’io voglio un gran bene a Percassi e all’Atalanta».

Prima hai citato alcuni dei tuoi ragazzi. Kessie, Cristante, Gagliardini, Conti, Petagna, Caldara. Se potessi riaverne uno indietro, chi sceglieresti?
«Tutti bravi, che si stanno pian piano imponendo. Potessi, riprenderei il più sfortunato: Caldara. Un ragazzo eccezionale, che merita di riavere quello che finora gli è stato tolto».

Mi dicono che nelle giovanili dell’Atalanta c’è un ragazzo che promette molto: Andrea Colpani
«Ti dicono bene. Bravo, molto bravo, un gran sinistro, è uno di quelli che si allena già con noi. E’ solo ancora un po’ gracile, deve crescere fisicamente. E’ alto, ma molto magro. Si tratta solo di un’evoluzione fisica da completare. Ci sono ragazzi che a 17 anni sono già formati. Ma lui lo farà, su questo si può lavorare».

Ma hai mai fatto un conto di quanto hai già fatto guadagnare all’Atalanta con la valorizzazione dei giocatori?
«Più o meno… Invece non ho fatto mai fatto un conto di quanto abbia fatto guadagnare al Genoa in otto anni… Mi sa che siamo parlando di una bella cifra».

Domande secche. Mourinho o Guardiola?
«Guardiola. Anche se Mourinho mi è molto simpatico».

Milito o Icardi?
«Milito».

Ronaldo o Messi?
«Messi, anche se Ronaldo è un fuoriclasse. Ma Messi è il più grande. Più grande anche di Maradona».

Scusa, non ho capito bene.Messi più grande anche di Maradona?
«Sì, Messi più grande anche di Maradona. Più di Messi c’è soltanto la play-station. Gli ho visto fare cose pazzesche, con una continuità pazzesca. Oh, per me meglio anche di Maradona. Ti stupisco?».

Beh, sì un pò sì. Allora riprendiamo. Il portiere più forte che hai mai visto.
«Buffon».

Il difensore?
«Scirea».

Il centrocampista?
«Leo Junior. Magari non è stato il più forte in assoluto. Ma è un mio amico ed è stato un piacere giocarci insieme».

L’attaccante, mi sembra scontato, è Messi.
«Sì, certo, Messi. Di quelli che ho allenato io Milito, Palacio, Gomez, Ilicic e naturalmente Zapata».

Tra i giovani sta spopolando Zaniolo. Strano che non sia nato nel vivaio dell’Atalanta…
«Mi ricordo che suo papà giocava nel Genoa. Zaniolo è un centrocampista moderno, di qualità e forza. La Roma con lui, Pellegrini, Cristante, ha un grande futuro».

Chi vincerà la Champions?
«Direi la Juve. Mi auguro la Juve. C’è solo un rischio».

Il Manchester City?
«No, che il campionato italiano non sia abbastanza allenante. E la Juve possa arrivare alle sfide decisive in Champions senza aver avuto la necessaria tensione in Serie A».

Stiamo chiudendo. Se non fossi stato Gasperini, importante e bravissimo allenatore di calcio, oggi a 61 anni saresti…?
«Sarei quasi in pensione. Non so che mestiere avrei fatto, ma di sicuro non avrei fatto il dipendente. Non sarei mai potuto stare sotto padrone per tutti questi anni… Avrei lavorato tanto, tantissimo, ma sempre pensando di poter disporre della mia libertà».

Tanti auguri, allora, e buon compleanno. Solo un’ ultima curiosità: ma il calcio è dei perfezionisti o degli artisti?
«Non ho dubbi: degli artisti».

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