<p>Mancini vuole tutto. Il cannibale dell’Inter</p>

L’allenatore è convinto che l’Inter debba tornare ad abituarsi all’idea di vincere. E sa che sulla Coppa Italia sono state costruite le basi per i suoi successi
Mancini vuole tutto. Il cannibale dell’Inter
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TORINO - Roberto Mancini non molla nulla. Neanche la Coppa Italia. Come peraltro dimostrano le convocazioni per la gara con il Cagliari da cui è stato depennato - per turnover - il solo nome di Miranda (Ranocchia invece è out per infortunio ma sarà convocabile per il match pre-natalizio con la Lazio). Ieri l’allenatore ha provveduto pure a fare un appello ai tifosi («Vi aspettiamo al Meazza: siete tutti convocati») e magari, visto il clima di euforia dilagante intorno all’Inter, a San Siro non ci sarà il solito, desolante, deserto che caratterizza da sempre il primo turno della coppetta nazionale. Coppetta non per Mancini: lui il trofeo l’ha sempre onorato avendolo vinto ben dieci volte tra giocatore (sei) e allenatore (quattro) senza contare la FA Cup con il Manchester City e la Coppa di Turchia con il Galasataray. Quest’anno, in assenza di impegni infrasettimanali per le coppe europee e alla luce della profondità di organico a disposizione, l’Inter farà del suo meglio per arrivare in fondo. Questo per almeno due ottimi motivi: il primo è riuscire a regalare a Erick Thohir il primo trofeo della sua presidenza, il secondo sta nella convinzione da parte dell’allenatore che una squadra, per pensare in grande, debba imparare a vincere. Nella sua prima vita in nerazzurro è un concetto che Mancini ha ripetuto più volte: il suo ciclo è nato dalle fondamenta costruite sulle coppe Italia conquistate nel biennio 2004-2006 e sulla Supercoppa vinta a Torino contro la Juventus (20 agosto 2005, con gol ai supplementari di Juan Sebastian Veron) quando - per la prima volta - quell’Inter si rese conto di potersela giocare con i bianconeri.

Condizione super Mancini punta a chiudere un dicembre tutto d’oro con altre due vittorie. Questo è il momento per pigiare il piede a tavoletta sull’acceleratore: la squadra ha una condizione fisica superlativa e ad Appiano è palpabile la convinzione con cui il gruppo affronta ogni impegno. Anche per questo motivo Mancini - che, in ossequio alla tradizione, non ha fatto il ritiro pre-partita - ha evitato di precettare dei Primavera per il match con il Cagliari (l’unico è Popa, viste le assenze di Ranocchia e Miranda): sarebbe stato un segnale sbagliato verso una squadra che sta vivendo un periodo di grande positività come hanno dimostrato gli ultimi 180’ di campionato con Genoa e Udinese in cui gli interisti arrivavano regolarmente primi su ogni palla vagante rispetto agli avversari. In tal senso, è quasi un peccato che arrivi la sosta, anche se sarà l’occasione per rimettere carburante nel serbatoio di chi ha sempre giocato. In tal senso esiste pure la consapevolezza che gennaio possa essere il mese buono per spiccare definitivamente il volo, dato che il menù riserverà, in rigoroso ordine di calendario, Empoli, Sassuolo, Atalanta e Carpi, tutte avversarie con cui l’Inter - almeno sulla carta - appare in grado di fare la differenza anche perché, con i campi pesanti, potrebbe avverarsi l’ennesima predizione manciniana: quella in base a cui i nerazzurri avrebbero tratto grande beneficio nei mesi invernali proprio dal fatto di aver costruito un centrocampo formato da tanti pesi massimi, proprio com’era la squadra del primo Mancini.

Senza paura Sono tante le analogie tra quell’Inter che pensava in grande e questa che, dopo la rivoluzione estiva, guida - ora non più a sorpresa - il campionato. A confermarlo le parole di Stevan Jovetic sospese tra la strettissima attualità («Purtroppo non avendo le coppe europee, bisogna puntare tutto sulla Coppa Italia: cercheremo di vincere col Cagliari e anche di vincere il trofeo», il suo pensiero a Mediaset) e l’idea che lo scudetto possa essere un affare sulla Milano-Torino: «Ero sicuro che sarebbero tornati in alto, ma noi ci siamo e speriamo di vincere lo scudetto. Se i bianconeri ci fanno paura? No, ma sono forti. Quando ci siamo affrontati nello scontro diretto potevamo vincere noi perché avevamo fatto un grande primo tempo». A San Siro, era il 18 ottobre, finì 0-0. Il 28 febbraio, il secondo - e ultimo - round.

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