Conte, Allegri e Einstein: una riflessione quasi scientifica

Sergio D'Elia ha scritto per noi una riflessione sul tema più caldo fra la tifoseria juventina: il confronto Conte e Allegri. Mettendoci dentro pure la fisica...
Conte, Allegri e Einstein: una riflessione quasi scientifica© LaPresse

Sergio D'Elia è segretario del'Associazione Nessuno tocchi Caino, politico italiano e un esponente della nonviolenza, ma anche un grande tifoso della Juventus. E proprio da appassionato bianconero ha scritto per noi una riflessione sull'argomento che da mesi divide il popolo juventino: Conte e Allegri.

 

«Dopo tre anni di successi straordinari della Juventus di Antonio Conte, nessuno avrebbe scommesso un euro su quella di Massimiliano Allegri. Quando Conte se n’è andato, nessuno immaginava che qualcun altro avrebbe potuto infondere alla squadra, a tutti e a ciascuno dei suoi giocatori, nuova forza interiore, di volontà e motivazioni rinnovate per raggiungere obiettivi ambiziosi. Invece, a otto mesi dal cambio, contro ogni previsione catastrofica, è successo il “miracolo”. 

Com’è potuto accadere? E’ accaduto che il cambio alla guida tecnica della Juve ha portato un cambiamento innanzitutto mentale, culturale e, direi, filosofico. E’ andato via un cultore della forza fisica, è arrivato un cultore di quella mentale.

Si tratta di due visioni diverse e, forse, opposte del gioco del calcio, che esprimono anche due concezioni diverse della vita. Per Conte il campo di calcio è una scacchiera, una rete piatta e precisa di linee orizzontali e verticali da occupare “militarmente” e a tappe forzate. Per Allegri è un labirinto circolare e apparentemente misterioso di curve e corridoi da attraversare a memoria e con pazienza. 

Dal suo semplice punto di vista tridimensionale, lo spazio e il tempo di gioco di Conte sono concetti separati, assoluti e lineari, mentre sono strettamente connessi, relativi e fluttuanti nello spazio-tempo della visione quadri-dimensionale del gioco di Allegri, per il quale – come nella teoria della relatività di Einstein – non si può parlare di spazio senza parlare del tempo e viceversa. 

Se a fine partita fosse proposta una rappresentazione grafica di tutte le linee di passaggio della palla e di tutti i movimenti dei giocatori in campo, salterebbe all’occhio la differenza che passa tra le due concezioni del calcio. Da una parte, con Conte, avremmo una rete più geometrica (euclidea) di passaggi lineari; l’altra, quella di Allegri, mostrerebbe una realtà più caotica (termodinamica), una matassa intricata dei circuiti di gioco.

Basta vedere come gioca Pirlo. Quello di Conte verticalizzava l’azione, lanciava la palla in avanti sulla torre di Llorente ben arroccata al centro della difesa avversaria o la infiltrava oltre la linea del fronte nemico attaccato a sorpresa da Marchisio, Vidal o Lichtsteiner. Invece, con Allegri, Pirlo non gioca a senso unico, fa circolare la palla tra tutti i compagni e in tutte le linee del campo. Lo stesso vale per Tevez: ruotava nell’orbita di Llorente con Conte, mentre con Allegri è libero di orbitare intorno a ogni giocatore in ogni parte del campo.

Il gioco di Conte procede avanti e indietro con lo stesso ritmo, stressante e continuo. Quello di Allegri è fluttuante, si espande e si ritrae a un ritmo più naturale e sostenibile, come quello del cuore o del respiro umano: quando accelera è pronto a rallentare, al suo massimo sforzo corrisponde il giusto riposo, il pieno (di sangue e di aria) diventa vuoto che poi si riempie di nuovo in un moto continuo, circolare e armonico.

Conte è immerso nella partita, urla, corre e suda come fosse in campo; Allegri ne è più distaccato, sembra quasi osservarla da fuori, dall’alto… ed è un vantaggio perché, in tal modo, ha una visione più completa e vera di quel che accade in campo. Conte è un fisico materialista, immerso nella realtà dei corpi solidi governata dalla legge di gravità. Allegri, invece, è come il saggio orientale che riesce a cogliere l’essenza profonda delle cose e la dinamica degli eventi tramite la meditazione, l’astrazione (apparente) dalla realtà.

Per Conte la squadra è una perfetta macchina da guerra fisica, che agisce obbedendo ai principi e ai meccanismi newtoniani di forze – materiali e tangibili – di causa-effetto e azione-reazione. La sua macchina calcistica è la somma delle parti che la compongono, dove ogni pezzo ha un compito preciso e concorre a costituire il tutto. 

La squadra di Allegri, invece, è un organismo vivente, nel quale opera un’unica forza fondamentale – immateriale e impalpabile – che è la forza di relazione, una forza che, come ha dimostrato la fisica quantistica, presiede al funzionamento di tutte le cose, perché tende a rendere il tutto un insieme armonico e cooperativo. Nella squadra di Allegri non esiste una parte per il tutto (neanche lo straordinario Tevez fa eccezione); al contrario, è il tutto che anima, lega e giustifica tutte le parti in campo.

Conte è il generale, paternalista e autoritario di un esercito strutturato e forte come una rete metallica. Dai suoi giocatori esige ordine e disciplina, tattica e morale. Arbitro severo e assoluto della sua stessa squadra, richiama e ammonisce, punisce e sostituisce chi non rispetta le regole “militari” di comportamento etico e tattico, del movimento difensivo e offensivo. 

Allegri sembra invece il direttore di un’orchestra sinfonica, guarda all’estetica più che all’etica, alla bellezza della musica come effetto dell’armonia tra interpreti e mezzi musicali. A tal fine, Allegri usa la forza del dialogo e il metodo della nonviolenza, un modo di fare che in politica ho visto praticare solo da Marco Pannella. Non ordina, orienta, non impone, asseconda, non fornisce la mappa dettagliata di un percorso, illumina la via per giungere a destinazione. 

L’energia che ci ha messo Conte nella Juve era materiale e, quindi, non rinnovabile, tant’è che, alla fine, si è esaurita. Invece, l’energia che Allegri trasmette alla squadra è immateriale e, quindi, rinnovabile, può durare nel tempo perché mira a creare equilibrio e armonia. 

Per Conte, ogni partita della Juve era uno stress-test fisico e quantitativo… per lui stesso e per i giocatori. Insisteva sempre sulla “crescita”, secondo lui infinita, della squadra… contro ogni principio della fisica e della logica, perché ogni sistema vivente ha una capacità di carico limitata ed è – per sua natura – finito e, quindi, non può crescere all’infinito.

Non ho mai sentito Allegri parlare di “crescita” della squadra, semmai di “miglioramento” tecnico, qualitativo. Per Allegri, la partita non è mai un esercizio essenzialmente fisico, ma una prova innanzitutto mentale, di qualità tecnica e di intelligenza tattica. E quando Allegri insiste sul miglioramento “tecnico”, pensa più all’insieme del gioco di squadra che alla tecnica dei singoli giocatori (nei quali i miglioramenti, pur possibili, sono relativi). 

Essendo umanamente impossibile la crescita fisica infinita di una squadra, Allegri sa che è necessario cambiare, che occorre creare nuova consapevolezza, nuove motivazioni e nuovi obiettivi verso cui orientarsi, perché vi sia, nel tempo, la durata. Allegri ha dato prova di sapere orientare e gestire il cambiamento, che non è quello della “formazione” o del “modulo” ma della “forma mentale” della squadra. In poche parole, Allegri, ha dimostrato di essere un “visionario”, di avere cioè la visione creativa di un nuovo possibile, che esprime solo chi è in grado di concepire, ispirare e illuminare la via verso nuove mete».

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