<span style="line-height: 20.7999992370605px;"> Il libro di Targia riapre il dibattito: </span>«Ricordare l’Heysel è un dovere»

«La memoria è un lavoro. Una scelta. Ha bisogno di manutenzione e di amore», spiega il giornalista scrittore che era presente a Bruxelles e racconta quella notte, riflettendoci 30 anni dopo

TORINO - «Perché la memoria è un lavoro. Una scelta. Ha bisogno di manutenzione e di amore, e questo spetta a tutti e a ciascuno individualmente. Fatelo, allora, quel nodo al fazzoletto». Emilio Targia lo ha fatto il nodo, per ricordare e ricordarsi “Quella notte all’Heysel”, che è diventato il titolo del suo libro, scritto da giornalista, ma anche da testimone diretto della tragedia di Bruxelles. Targia c’era, era un tifoso con il sogno di diventare giornalista, e l’elaborazione dei suoi ricordi scorre come un diario, quasi un romanzo. Ma non è solo un bel libro, il suo, è un libro importante, un libro da leggere. Perché «moltissimi italiani (e molti media) si ostinano a considerare le vittime dell’Heysel solo come “juventini” e non come connazionali e come persone. Questo mina in modo imperdonabile il peso reale della tragedia belga, perché la riduce a un fatto calcistico e la relega in una dimensione sbagliata e giusta». Lo leggeranno in molti, purtroppo è probabile non quelli che dalle tribune degli stadi continuano a insultare la memoria dell’Heysel e di vittime che non erano tifosi juventini, ma tifosi e basta. E un tifoso non deve morire in uno stadio.

Emilio Targia, “Quella notte all’Heysel”, Sperling and Kupfer, 175 pagine, 14,90 euro (disponibile anche in formato digitale)

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