Dybala: «Ho preso il 21, quello di Zidane»

Il nuovo attaccante bianconero è già carico: «La Juve ha pagato una cifra alta per me. Vuol dire che credono in me e sanno che posso dare tantissimo»

TORINO - Già veloce e scattante in campo a Vinovo, sveglio anche nelle risposte ai media in conferenza stampa. Paulo Dybala si presenta nella sala stampa dello Juventus Stadium, come si conviene ai big bianconeri (l'ultimo è stato Marchisio, lunedì 7, in compagnia del presidente Andrea Agnelli). Il nuovo attaccante bianconero è già carico: «Io il più pagato del campionato italiano? Si parla sempre dei soldi da quando sono in Italia. A Palermo hanno pagato una certa cifra ed è successa la stessa cosa, non si è parlato di altro. Cercherò di fare del mio meglio anche qui.

 La Juve ha pagato una cifra alta, mi fa piacere che la Juve ha fatto questo investimento. Vuol dire che credono in me e sanno che posso dare tantissimo». Sulle differenze tra Palermo e Juve: «Sono a Torino da due giorni, è un cambio molto grande per la mia carriera. Spero di poter crescere come giocatore e come persona, diventando anche qui un grande calciatore». Parole dedicate anche alla finale di Berlino: «Quando sono entrato in quello stadio, è stata particolare ed emozionante. La prima volta per me». Sul suo ruolo: «Devo parlarne col mister, io ho fatto il trequartista, l'attaccante, sarà il mister a decidere». I suoi idoli: «Riquelme e Ronaldinho».

L'EREDITA' DI CARLITOS - «Quello che ha fatto Tevez qui è stato incredibile. Ha fatto due grandissime stagioni, vincendo tantissimo. Il numero di maglia? Io ho giocato sempre con il 9, ma qui ho preso il numero 21, perché mi piace: è la mia età, l'hanno indossato giocatori importanti. E' un bel numero. Sì, mi riferisco anche a Zidane (l'ultimo a indossarla è stato Pirlo, ndr)».

IL RAPPORTO CON ALLEGRI - «Mi ha dato il benvenuto, ma non l'ho ancora visto, di lavoro non abbiamo ancora parlato. Rispetterò le due decisioni. Ma dobbiamo essere tutti pronti per giocare. Tutti noi abbiamo voglia di dimostrare il nostro valore».

PERCHE' LA JUVE - «Quando giocavo col Palermo, pensavo sempre a giocare, chi mi assiste pensava al mio futuo. Quando mi hanno detto che la Juve mi voleva, io ho detto subito di sì per tanti motivi: perché in tutte le cose che faccio mi piace sempre vincere e qui c'è la squadra migliore per farlo».

LA NAZIONALE E MESSI - «Io coltivo il sogno, mentre Messi giocherà nell'Argentina ancora a lungo. E' fortissimo».

JUVE DA CHAMPIONS - «L'anno scorso è stata una Juve incredibile, l'importante è che la Juve possa fare ancora meglio quest'anno, ma la concorrenza cresce e non sarà facile per noi. Ma abbiamo una rosa talmente forte che possiamo fare come l'anno scorso».

IO DIETRO LE PUNTE - «E' un ruolo che ho svolto sempre nel settore giovanile in Argentina. Il mio primo allenatore in prima squadra mi ha messo attaccante, ho fatto la punta vera. A Palermo ho fatto tutti i ruoli, ma nel ruolo di prima punta l'anno scorso ho fatto tanti gol. Io posso giocare dovunque, poi dipende da cosa vuole il mister e io mi adatterò».

IL MODELLO MORATA - «Ha faticato all'inizio, poi ha fatto grandi cose, dando soddisfazioni ai tifosi. Io spero di fare come lui».

LE AVVERSARIE - «Nel campionato italiano non c'è niente di facile. A Palermo sono cresciuto, ma è sempre difficile per un attaccante contro difensori così forti. Io ho un fisico più piccolo, ma mi devo adattare e cercare di dare il meglio nel mio ruolo. Sono venuto alla Juve per continuare a crescere».

LA CONCORRENZA INTERNA - «Non ho paura, la concorrenza ti fa stare sempre preparato per giocare al meglio. Penso che la concorrenza faccia bene perché ti fa stare sempre pronto a migliorare al massimo ogni giorno».

I MIEI HOBBY - «Mi piace rimanere a casa, in famiglia, giocare alla playstation o a biliardo, bere il mate, stare con mia madre e i miei fratelli. Sono un ragazzo molto tranquillo, non mi piace uscire tanto».

IL MIO SOPRANNOME - «In Argentina un giornalista mi diede il soprannome de La Joya (il gioiello), mentre a Palermo mi chiamavano U Picciriddu (il bambino)».

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