Juve, «L'Heysel è di tutti, è una questione di memoria civile»

Lo scrittore Targia: «L'Heysel è un pezzo di storia drammatica del nostro Paese e come tale deve essere trattata: scritta con rigore e letta con attenzione perché la memoria non venga manomessa»
Juve, «L'Heysel è di tutti, è una questione di memoria civile»© LaPresse

Buongiorno Targia*, a 31 anni di distanza perché bisogna ancora parlare dell’Heysel?

«Perché è un pezzo di storia drammatica del nostro Paese e come tale deve essere trattata: scritta con rigore e letta con attenzione. L’Heysel deve essere una questione di condivisione collettiva della memoria. Io aggiungo una motivazione personale, perché ero lì 31 anni fa e da giornalista sento una responsabilità raddoppiata perché la memoria non venga manomessa».

Chi o casa manomette la memoria dell’Heysel?

«L’indifferenza, la superficialità e la disattenzione. Chi la liquida come un fatto calcistico e basta, chi la racconta con un taglio amorale senza approfondire la sostanza di quel dramma, chi ne parla senza prima cercare di confrontarsi con il dolore di 39 famiglie e 300 persone ferite. Troppo spesso si trascura quel dolore. Non lo conoscono quelli che lo insultano negli stadi: la loro è pura ignoranza e, in piccola parte, volgare ostentazione di odio per offendere una tifoseria in una parte molto sensibile dei suoi sentimenti. Per tutte queste cose dobbiamo continuare a ricordare e compiere una regolare manutenzione della memoria».

La lezione del 29 maggio 1985 ha migliorato il calcio negli ultimi 31 anni?

«Non ha certamente migliorato una parte dei tifosi, quelli che continuano a perseguire la follia della violenza, fisica o verbale. Purtroppo si respira ancora un clima troppo pesante in certi stadi. In compenso credo che sul fronte dell’organizzazione dei grandi eventi siano effettivamente compiuti progressi: l’Uefa oggi non ripeterebbe nessuno degli errori del 1985 e probabilmente anche le istituzioni belga».

Lei ha continuato a seguire il calcio “da tifoso”: quante volte ha pensato all’Heysel in uno stadio?

«Alcune volte, non sempre. Mai nello Stadium dove mi sento a casa, al sicuro. Altrove... A proposito delle cose migliorate o peggiorare: l’obsolescenza di certi nostri impianti non è certo un aiuto alla sicurezza».

Crede che una parte del popolo juventino abbia rimosso o voglia rimuovere l’Heysel?

«No, non credo, la maggior parte dei tifosi della Juventus che conosco no».

Per ricordare è meglio una stele o un dibattito?

«Non saprei si entra in un territorio complicato, quello della memoria. Credo che la società, per esempio, si stia muovendo molto bene negli ultimi anni. Le associazione e i comitati lavorano molto, ma non sempre coordinati: una maggiore condivisione aiuterebbe anche mediaticamente il ricordo dell’Heysel. Personalmente sono stupefatto di come la promozione del mio libro dell’anno scorso stia continuando per le richieste che ricevo in tutta Italia (ieri era a Venosa in Basilicata): c’è un desiderio di sentire raccontare quella storia e le generazioni più giovani sono le più ricettive: capiscono meglio la portata della vicenda perché la affrontano senza preconcetti».

Da tifoso della Juventus come vive quella Coppa?

«Tema delicatissimo. Diciamo che è giusto che sia a casa Juve, nel museo, perché a chi dice: “andava restituita”, domando: a chi? All’Uefa? Quella Coppa è un pezzo di memoria, è un ricordo prismatico che ogni volta mi fa pensare a qualcosa di diverso: al dolore, ai patimenti, alla faccia di Scirea...».

Molti criticarono l’ostentazione di quel trofeo nel dopo partita.

«Quel giro di campo l’ho filmato con il mio super8 e l’ho rivisto con il mio occhio analogico. Eravamo, erano tutti sotto choc, c’era Tardelli che salutava la Juventus e poi c’era la richiesta delle forze dell’ordine: distrarre i tifosi juventini per evitare altri incroci pericolosi con gli inglesi. Non ho mai visto gioia, solo smarrimento».

 

 

*Emilio Targia, giornalista di Radio Radicale e scrittore, è autore di due libri sulla tragedia di Bruxelles. “Quella notte all’Heysel” è scritto in prima persona e racconta l’esperienza di Targia, che il 29 maggio 1985 era fra gli spettatori della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, prima della quale morirono 39 tifosi bianconeri in seguito a una folle carica di quelli inglesi. Ne esce una narrazione dal forte impatto emotivo, ma che resta rigoroso sotto il profilo storico. Nell’ampio panorama sull’argomento uno dei testi più ficcanti pe ricordare o conoscere una delle pagine più drammatiche del calcio, indipendentemente dai colori che si amano o dalla squadra per la quale si tifa.

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