Caso ultrà, Calabrò: «Perché indagano solo la Juventus?»

L'ex giudice: «In alcuni stadi ci sono delinquenti che spacciano, ma non vedo un proliferare di inchieste penali o sportive... Juve e N'drangheta non vanno associate»
Caso ultrà, Calabrò: «Perché indagano solo la Juventus?»

Piero Calabrò, magistrato per 37 anni, ora presidente della Commissione Rischi della Figc e presidente di  SDL Centrostudi, il giovane team che sfida gli illeciti bancari a danno dei correntisti italiani, nonché attivissimo calciatore e organizzatore di eventi benefici e di legalitá in tutta Italia con la Nazionale Magistrati.

Buongiorno Calabrò, la vicenda "biglietti" che coinvolge la Juventus si sta evolvendo. E' arrivato, per esempio, un deferimento di una certa gravità, che parla apertamente di rapporti di collaborazione con la criminalità organizzata. Cosa ne pensa? 

«Penso che la Juventus e in particolare il suo presidente abbiano giustamente rifiutato una richiesta di patteggiamento iniqua arrivata dalla Procura Figc. A me risulta che il procuratore federale abbia proposto un'inibizione di un anno che,  al di là dell'implicita assunzione di responsabilità, rappresenta un'oggettiva ammissione che non ci sarebbe stata solo la vendita di biglietti al di là delle regole formali, ma qualcosa di più grave, qualcosa che nessuno vorrebbe ammettere. Oltretutto un'inibizione di quel genere potrebbe avere conseguenze pratiche minime in Italia, ma ne avrebbe ben altre a livello internazionale, nel quale Agnelli ricopre ruoli importanti . Correttamente, a mio parere, la proposta di patteggiamento è stata rifiutata e così è arrivato, quale ovvia conseguenza, un deferimento di quel genere, coerente con la proposta di patteggiamento. Ma, vorrei richiamare l'attenzione, sul fatto che in Italia qualsiasi processo prevede che la pubblica accusa sia una "parte del processo", non è un elemento giudicante e neppure super partes. Insomma, quello che dice la Procura non ha più valore di quello che dice la difesa, sarà un organo terzo che deciderà. Riportare e rimarcare in modo eccessivo la richiesta dell'accusa è contrario ai principi stessi della giustizia e del processo».

Forse se ne parla perché l'accusa è clamorosa: "collaborazione con la N'drangheta".

«C'è una cosa che non mi quadra. Finché si tratta di illeciti sportivi, gli unici che rientrano nelle competenze della giustizia sportiva, riconosco agli organi la competenza non solo di decidere, ma anche di parlare. Ma quando si tratta di abbozzare una complicità di qualsiasi voglia natura con la criminalità organizzata, in particolare con la N'drangheta, non esiste alcuna competenza giuridica da parte della giustizia sportiva. Si pensi che neppure i giudici ordinari possono occuparsi di mafie, compito riservato alle sole Procure distrettuali antimafia (in generale una sola Procura all'interno di ogni regione). Insomma, se l'unica istituzione deputata a occuparsi di mafie, in questo caso la Procura di Torino, non ha ritenuto esistere alcun accostamento rilevante fra la Juventus e la N'drangheta, io credo che l'organo di giustizia sportiva non possa farlo, nemmeno de relato. E' un modo di procedere che mi sorprende come ex magistrato».

Eppure in questo momento l'opinione pubblica associa in modo molto naturale la Juventus e la N'drangheta.

«Ne approfitto per dire qualcosa di scomodo, forse. Credo che questa situazione, soprattutto a livello mediatico, stia facendo un grande favore proprio alla N'drangheta, che agli occhi di chi deve sottomettersi a lei assume un potere virtuale che non ha. La N'drangheta non è fatta solo di spacciatori o assassini, ma anche di colletti bianchi che vogliono penetrare nei gangli dell'economia. Questo potere di infiltrazione viene aumentato dall'idea che la N'drangheta abbia contatti perfino con la Juventus. E questo meccanismo mentale non lo sto inventando io, ma l'ho appreso da magistrati come Piero Grasso, Giancarlo Caselli o professori che studiano il fenomeno come Dalla Chiesa, che io invito per incontri con l'imprenditoria lombarda per spiegare il fenomeno di infiltrazione nell'economia del Nord Italia».

Da presidente della Comissione Rischi del calcio non crede tuttavia che, N'drangheta o meno, ci sia un rapporto da rivedere fra le curve, spesso ricettacolo di criminalità non necessariamente organizzata, e le società di calcio?

«La commissione rischi del calcio ha già esaminato questa problematica sotto il profilo del contrasto alla violenza negli stadi e in primis riguardo ai rapporti tra società calcistiche e gruppi ultrà o organizzazioni similari. Il problema è delicatissimo ma non di difficile soluzione, a patto di una partecipazione attiva e fattiva dello Stato. Tutto è legato all'impegno dello Stato, che in questi ultimi dieci anni si è fortemente dispiegato nella produzione normativa. Purtroppo, però, approvare una legge non costa niente, mentre quello che è necessario è l'investimento in sicurezza, invero assai carente. Lo Stato ha abdicato, per ragioni economiche, in materia di sicurezza e prevenzione. E il calcio ne ha pagato le conseguenze. Nelle curve, per esempio, sarebbe necessario anche un lavoro di intelligence per sapere se i personaggi che frequentano le curve abbiano problematiche o contatti con la criminalità. Questo è un lavoro costoso e per mille ragioni deve essere fatto dallo Stato, non dai club che, al massimo, possono mettere in campo un investigatore privato».

Oppure trattare...

«Nella difesa di Agnelli e della Juventus è stato sottolineato che la vendita dei biglietti agli ultrà è servita per calmare e per controllare, non per soggiacere a ricatti di vario genere. Ma questo denota la mancanza di prevenzione di chi deve garantire questa sicurezza».

Quanto è esteso e pericoloso il fenomeno? La sensazione che si sta dando è che sia un problema solo della Juventus.

«La diversità di trattamento è palese. Anche perché mi è stato riferito da presidenti di società importantissime che in alcuni degli stadi delle società più importanti d'Italia non solo esistono esponenti della criminalità, ma gestiscono prostituzione e spaccio di droga. Perché di tutto questo non emerge una volontà di approfondimento da parte delle Procure, ordinarie o sportiva ? I club non hanno poteri formali e reali per limitare quanto avviene. In una mia relazione che ha girato l'Italia ed è finita sui tavoli della Figc, del Coni e sulle riviste giuridiche, scrivo che la Procura di Napoli ha denunciato come alcuni elmenti entrassero allo stadio San Paolo bypassando i tornelli e facendo ogni tipo di altra azione poco commendevole. Per non parlare delle serie minori nelle quali questa penetrazione pesante della criminalità organizzata arriva a imporre presidenti o servizi all'interno dello stadio: si arriva cioè a una vera dittatura di questa marmaglia. Di fronte a tutto ciò non mi sembra di assistere a un proliferare di interventi repressivi o preventivi dello Stato o a provvedimenti sportivi di alcun genere. Invece siamo qui a parlare di biglietti, che di per sé è una cosa risibile, perché vorrei conoscere i numeri di questo presunto business: non credo che abbia cifre così golose per la criminalità organizzata».

Detto ciò, rimane il fatto che ci sono stati incontri fra il presidente della Juventus e gli esponenti della curva, alcuni dei quali con gravi precedenti penali. E' il caso di organizzare questi incontri a così alto livello?

«Ogni cosa è figlia del momento in cui avviene. Quando la Juventus ha realizzato lo Stadium, voleva dare un esempio esterno di bellezza estetica e solidità economica, voleva dare un segnale di curve pacificate, di ritrovata unità di intenti tra club e tifosi. Nella volontà di fare uno stadio bello e accogliente per tutti si è ecceduto nel tentare di marginalizzare i rischi, dando un contentino anche a chi potenzialmente poteva turbare questa rinnovata situazione e probabilmente qualche imprudenza da questo punto di vista può essere stata realizzata. In futuro sarebbe meglio evitarlo, anche se torniamo al discorso dell'impegno dello Stato sul tema. E comunque, proprio la realizzazione dello Juventus Stadium sarebbe stato il vero affare appetibile per la Ndrangheta: il fatto che la società non sia stata neppure sfiorata da indagini o sospetti al riguardo, credo sia la miglior dimostrazione della assurdità di certi accostamenti”

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