Juventus, storie di juventini a Napoli: «È dura, ma a volte pure più bello!»

Abbiamo raccolte le storie di chi tifa Juve a Napoli, tra sfottò, riti e piccole follie
Juventus, storie di juventini a Napoli: «È dura, ma a volte pure più bello!»© LaPresse

NAPOLI- La verità è che per essere juventini a Napoli bisogna essere ancora più napoletani, perché la forza morale di resistere e controbattere agli sfottò continui necessita una dose doppia di quell’affilatissima sagacia tipica di chi vive dalle parti del Vesuvio. La questione, per altro, è seria, perché i napoletani del Napoli non sono affatto teneri con i napoletani della Juventus, arrivando a mettere in dubbio la “veracità” della loro appartenenza alla città. «Ma io sono napoletano e felice di esserlo», dicono tutti i tifosi juventini con carta d’identità partenopea. «Il calore, l’ironia e la bellezza della mia città mi rendono orgogliosa di essere napoletana», spiega Monica Ferrara, 44 anni, bianconera «da parte di madre, che si era innamorata di Sivori (quando giocava nella Juventus, ovviamente) e mi ha trasmesso questa cosa meravigliosa che è essere juventini. Esserlo a Napoli poi rende ancora più forte la “fede”, anche perché non l’ho mai nascosta». Anzi la espone sulla pelle con tatuaggi ben visibili che la accomunano a un’altra Monica, che vive ad Aversa, e pure lei ha disegnato su se stessa la sua juventinità: «Sono una delle cose più pazze che ho fatto per la Juve, anche perché il mio tatuatore è tifoso del Napoli, puoi capire che felicità nel farli! Due sull’avambraccio destro, uno sul bicipite destro, uno sulla mano sinistra. Sono una docente universitaria e i miei studenti napolisti non perdono occasione per commenti tipo: “Eh, prof, questa cosa che lei è juventina non la capiamo proprio, è una donna così intelligente!”. Poi ridiamo insieme. Vorrei che fosse sempre così!». Perché alla fine non è mica sempre un inferno essere juventini a Napoli. 

FRANCESCA - Francesca Maria, a suo modo, è un’agente provocatrice. Fa la pediatra «e sulla scrivania c’è traccia evidente della mia fede bianconera tra gadget e foto. Così capita che qualche genitore storca il naso! Io ne approfitto di tale passione per raccontare loro che non ha importanza la squadra per cui si tifa ma che bisogna avere solo rispetto e amicizia: i bambini li convinco, con i padri rimane... guerra». 

MONICA - C’è Monica, 44 anni, tifosa juventina grazie alla mamma «che si era innamorata di Sivori (quando era alla Juventus, naturalmente) e mi ha trasmesso questa cosa meravigliosa di essere juventini. Poi esserlo a Napoli ti rende ancora più orgogliosa, perché esserlo qui è una vera impresa.  Io poi non ho mai nascosto  la mia fede, anzi la sfoggio con una serie di tatuaggi.  Alla solita domanda, come fa una napoletana a tifare Juve non rispondo più, rido. Il nostro calore, l'ironia e la bellezza della mia città mi rendono orgogliosa di essere napoletana e non vedo perché tifare Juve possa incidere sulla mia napoletanità. Su Higuain ci sarebbe da scrivere un capitolo. Quando si iniziò a parlare di un interessamento di Gonzalo io e mia mamma iniziammo a fantasticare sull'attacco della Juve e soprattutto pensavamo alla reazione dei tifosi del Napoli, compreso mio padre. Diciamolo chiaramente: è stato un godimento pazzesco anche se ovviamente dopo che Gonzalo è passato alla Juve, per loro è diventato un bidone».

PIERO - C’è Piero, 33 anni: «Vengo da Fuorigrotta, quindi a due passi dal quello che per i Partenopei rappresenta il tempio ovvero lo Stadio San Paolo. La mia famiglia è di sfegatati sostenitori del Napoli, nonostante ciò io amo e ho sempre amato i colori bianconeri. La mia passione nasce da piccolo: avevo 5 anni, ero in vacanza e conobbi dei bimbi con cui giocavo che mi fecero vedere un amichevole della Juve in tv. Ne rimasi folgorato. Ad oggi la Juventus per me è più che una fede calcistica, rappresenta un modo di essere e una vittoria o una sconfitta cambia il mio umore anche nella vita privata. Viverla a Napoli tale passione è abbastanza complessa, e soprattutto negli ultimi anni l'atmosfera si è surriscaldata, un po’ per via delle nostre continue vittorie, un po’ perché i social network hanno reso la comunicazione praticamente possibile. Detto questo la soddisfazione che si prova vivendola in un altra città la nostra passione juventina forse è ancora maggiore, come vedere la faccia del nemico rimurginare ad ogni nostra vittoria».

 

GIUSEPPE - C’è Giuseppe che vive a Capri ed è «tifoso juventino fin dalla nascita, per colpa di mio papà anche lui juventinissimo fino al midollo. Faccio parte dello storico club doc intitolato a Gaetano Scirea, nato sull'isola nel lontano 1972. Per molti juventini la parola derby viene utilizzata quando la vecchia Signora gioca contro il Toro, ma per noi il derby è Juventus-Napoli. Anche se poi indipendentemente dal risultato "loro" troveranno sempre il modo di avere l'ultima parola. Se il Napoli vince sfottò a non finire, se perdono sarà stata colpa dell'arbitro del campo o delle congiunzioni astrali o comunque sei un rinnegato ed esulti per la vittoria di una squadra del nord. Insomma con i tifosi del Napoli non puoi mai avere ragione. Diciamo che qui la Juventus è proprio un ossessione basti pensare che quando esce dalla Champions i festeggiamenti superano di gran lunga quelli di quando il Napoli vince (raramente) qualche trofeo. A Napoli si lamentano del razzismo, dei cori ma anche il loro in un certo senso è razzismo nei nostri confronti. "Siete napoletani e dovete tifare per il Napoli" questo è il diktat. Ma io non posso amare la mia terra ed essere fiero delle mie origini anche se non sostengo la squadra di calcio locale? la città si difende durante i 90 minuti di una partita o la si difende durante tutto l'anno comportandosi in maniera civile ed evitando quegli atteggiamenti che stanno rovinando una delle città più belle al mondo?»

 

ANNAMARIA - C’è Annamaria, che parte dalla fatidica domanda: «Ma come sei di Napoli e tifi Juve? Ma comm faie? Ecco, questo è quello che mi sento dire ogni volta dal tifoso napoletano di turno, vuoi per strada o sui social. Tifare Juve a Napoli non è difficile, di più. Ho vissuto gli scudetti di Maradona e, anche se quelli erano anni di accesa rivalità e sfottò, non è nulla in confronto ad oggi. I social hanno ingigantito tutto rendendo il confronto tra le due tifoserie quasi una guerra. E vuoi o non vuoi anche i media, piccole testate o siti ci mettono il loro (a Napoli diremmo azzuppano ‘o biscotto). Vuoi o non vuoi questa gara negli ultimi anni, anche a causa della partenza dell’”infame” Higuain, è sempre più sentita. Tornando al napoletano che tifa Juve, i partenopei partono da lontano:,dai Borboni si arriva al Vesuvio, (ahi noi brutto bruttissimo coro che non ci fa onore), passando per l’orgoglio della nostra terra, il sud  martoriato e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo per una semplice partita di pallone; Il napoletano medio non accetta e mai accetterà lo juventino (mi sono sempre chiesta perché  accettano milanisti i interisti bah). Anche quando continuo a ripetere che città e squadra non sono la stessa cosa, che tifare Juve non mi fa essere meno napoletana purtroppo è un cruccio, o tifi Napoli oppure sei senza onore e senza orgoglio. Nonostante tutto sorrido, perché so che non è così. Chi mi conosce, sia personalmente che sui social, sa come difendo la mia Napoli nonostante la macchia, il disonore (e qui rido di nuovo) di essere una gobba. E quando, pochi per la verità, finalmente si rendono conto del mio amore per la città, ecco che ti arriva la seconda domanda: “Ma allora tifi Juve perché vince?” E giù coi soliti “ladri, dopati, vincete solo grazie agli arbitri ecc ecc”. Insomma, come dice più di un mio amico, tifare Juve qui non è semplice ma io non sono per le cose semplici. Però un consiglio lo voglio dare ad entrambe le tifoserie: ”Il calcio non dovrebbe essere spregio e mancanza di rispetto, da entrambe le parti; che venerdì vinca il migliore ma sopratutto vinca lo sport».

 

DIEGO - C’è Diego: «Nato a Napoli 36 anni fa, dove ho vissuto prima di trasferirmi per lavoro.  La storia che mi portò dietro è semplice: ma come tuo padre ti ha chiamato Diego in onore di Maradona e tu tifi Juve? Vergognati! E da sempre  mi sono dovuto “giustificare” spiegando che io sono nato nell’82 (Maradona venne a Napoli nell’84) e tifo Juve perché il mio idolo era Stafano Tacconi! E soprattutto mi è stato dato questo nome perché piaceva ai miei senza dover onorare nessuno. Io penso che il calcio sia un qualcosa che ognuno è libero di vivere a proprio modo, tifando liberamente la squadra che più lo emoziona e nessuno come la Juve mi emoziona.  Però posso assicurare che per noi juventini di Napoli è dura molto dura, ma forse è anche più bello! E poi io mi chiamo Diego, non Diego Armando, sono nato nell’82 non nell’84 e mio padre è juventino».

 

FRANCESCO - C’è Francesco Caputo, «unico juventino nella mia famiglia, e quando dico famiglia è per significare tra tutti gli zii e cugini dia paterni che materni quindi figurati come sono stato sempre preso di mira. Ricordo la mia unica gara vista allo Stadio San Paolo. Era il 1991, finale di Supercoppa Italiana. Il Napoli era campione d'Italia e aveva comprato il capocannoniere della serie B Silenzi, mentre noi vincitori della coppa Italia contro la corazzata Milan avevamo stravolto la squadra prendendo come allenatore al posto di Zoff il fautore del calcio champagne Maifredi e una campagna acquisti sontuosa con gli acquisti di Baggio, Haessler, Di Canio. Ricordo che andai in curva B con i miei amici di cui solo uno era juventino, ma per evitare "casini" decidemmo di entrare con una sciarpa del Napoli in curva per non farci scoprire juventini tra napoletani. La partita finì 5-1 con Careca, Silenzi e Maradona ci fecero neri. E ricordo che ad ogni gol del Napoli tutti si alzavano mentre noi rimanevamo seduti creando un muro che ci impediva di vedere come festeggiavano in campo. Almeno quello... Da allora ho deciso che non sarei mai più allo stadio a vedere Napoli Juve allo stadio».

 

LUIGI - C’è Luigi Nardiello: «Quando c’è Napoli-Juventus per uno juventino napoletano, sono giorni terribili. Già normalmente è dura sentirsi minoranza calcistica oppressa nel regno azzurro del bel gioco e del sarrismo, ma in questa settimana trascorrere lungo le strade piene di discorsi calcistici e bandiere azzurre, incocciare a ogni angolo pizzerie che offrono sconti per l’infortunio di Higuain acuisce lo straniamento di me che son parte di questo manipolo di rinnegati i quali, in barba al dogma dell’appartenenza, tifano per una squadra del Nord. Così non mi resta che stringermi nella ruvida scorza di un dignitoso silenzio, che come un cappotto mi ripara dal freddo della riprovazione degli astanti, consapevole che ogni parola, ogni ostentazione di simboli bianconeri potrebbe essermi fatale». 

 

FRANCESCO 2 - C’è Francesco Bulleri, che ha vissuto per «18 anni a Portici Bellavista in provincia di Napoli. A differenza del 99% delle famiglie campane i miei genitori, soprattutto mio padre, non proveniva sportivamente parlando dal mondo del calcio giocato/visto/tifato bensì dal mondo dell'atletica leggera (di cui è stato per anni campione regionale di mezzofondo idem mia mamma velocista). Ciò ha fatto in modo che io mi formassi "da solo" a livello di tifo, senza pressing familiari di genitori e/o fratelli (in quanto figlio unico). L'unico pressing era quello di amici a scuola e dintorni. Intorno ai 5 anni di vita già masticavo un po di calcio. Arriva un certo Michel Platini in Italia e per me è colpo di fulmine. Tra i tanti ricordi c’ la finale Juve-Ajax 22/5/96: al pareggio di Litmanen un soggetto di fronte casa mia (molto legato al mondo ultrà partenopeo e consapevole della mia fede calcistica) esce sul suo balcone con trombe acustiche ed urla come un forsennato festeggiando a modo suo con imprecazioni di vario genere. Io esco e gli urlo "Augurati che non vinca la Juve...altrimenti trovati dei buoni tappi per le orecchie perché la notte sarà lunga". Al goal di Jugovic parte dal mio terrazzo in loop per ben 20 volte la canzone "we are the champion" dei Queen a manetta, durante i supplementari avevo spostato le casse da 300w dell'impianto Hi-Fi sul balcone»

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