Dybala: «La vita di un calciatore è la vita di un uomo molto solo»

L'attaccante della Juventus si racconta a Vanity Fair: «Quando abbiamo un pallone tra i piedi siamo felicissimi. Quel che succede dietro, nel retropalco, spesso non è proprio bellissimo»
Dybala: «La vita di un calciatore è la vita di un uomo molto solo»© Marco Canoniero

TORINO - «Dio ci dà un dono, ma poi quel dono va lavorato. Ne ho visti tanti di fenomeni nei settori giovanili. Ragazzi di cui dicevano: “Se solo avesse avuto la testa, avrebbe potuto essere Maradona o Messi”. Ecco, io ho lavorato soprattutto per evitare questo». E l’obiettivo è stato raggiunto. Perché oggi, Paulo Dybala, è tra i migliori al mondo nel suo ruolo. L’attaccante della Juventus ha svestito i panni del calciatore per raccontarsi a Vanity Fair in una veste un po’ più intima. Dalle strade di Laguna Larga e Cordoba a quelle di Torino con il cuore sempre pieno del ricordo di papà Adolfo. «È morto per un tumore, quando avevo 15 anni. Fu un dolore fortissimo. Nei mesi precedenti non riusciva più a venirmi a trovare e il club mi fece andare a casa per un po’ di tempo. Sei mesi erano troppo pochi e mi venne la tentazione di mollare tutto. (…) Forse un giorno lo ritroverò o forse no, a papà però penso sempre e gli dedico tutti i miei gol».

UOMO SOLO - Le confessioni della Joya proseguono. «Quando abbiamo un pallone tra i piedi, noi calciatori siamo felicissimi. Quello che succede dietro, nel retropalco, spesso non è proprio bellissimo. Chi diventa un calciatore quando arriva al mio livello? Il più delle volte un uomo molto solo». 

PALLONE D’ORO – Uno dei tanti sogni di Dybala è il Pallone d’Oro. «Quando ci riunivamo intorno al fuoco, da bambini, d’estate, espressi quel desiderio con i miei amici. (…) Vincerlo sarebbe un messaggio importante per tanti bambini. Per tutti quelli che nati in un piccolo posto lontano dai grandi centri possono sperare di poter raccontare una storia simile alla mia».

MONDIALE – Lui al Mondiale ci sarà di sicuro, l’Italia no. Qualche anno fa avrebbe potuto darci una mano. «Mi è stato chiesto di vestire l’azzurro e sono stato molto grato. Avevo 19 anni e rispondere “no, grazie” fu dura. Ma sono argentino e sarebbe stato un inganno».

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