Allegri di nome non fa Giobbe

«La pazienza di Supermax è finita. Ha il diritto di reagire ai faziosi». L'editoriale del Direttore di Tuttosport
Allegri di nome non fa Giobbe© www.imagephotoagency.it

La pazienza di Massimiliano Allegri è finita nella notte di Roma. Storica e inebriante, per lui e per la Juve, ma, anche, asprigna e urticante per lui medesimo. L’allenatore che, dopo la quarta Coppa Italia di fila, attende solo la certificazione aritmetica per fregiarsi del quarto scudetto consecutivo, ne ha le tasche piene di chi ne sminuisce i successi. E ha ragione. Un antico proverbio danese avverte: se l’invidia fosse febbre, tutto il mondo sarebbe ammalato. In Italia, sezione Serie A, l’epidemia è virulenta. Trionfo dopo trionfo, sulla scena italiana che domina da quattro anni in bianco e nero, Allegri non chiede robusti peana e pindarici epinici. Il personaggio si fa scudo con l’ironia livornese che è al tempo stesso disincanto e intelligenza nell’affrontare le cose della vita.

Ciò che dà fastidio al Grande Labronico sono le critiche preconcette, gli stereotipi logorati dal tempo e annichiliti dal cammino di una Juve che vince perché è la più forte, come puntutamente sottolinea Tony Damascelli. Dal sacchismo, che segnò la rivolta contro il trapattonismo, per arrivare al sarrismo il passo non è stato breve, visto che ci sono voluti trent’anni e ognuno, naturalmente, è libero di preferire questo o quello, che pari non sono. Ma, quando si fa la cronaca del quadriennio juventino di Allegri, già consegnato ai libri di storia del calcio, bisogna essere scevri dai preconcetti e dal chiacchiericcio di chi non sa, o fa finta di non sapere, che cosa ci sia dietro una squadra in Italia senza rivali da sette anni.

La rivendicazione del lavoro, del sacrificio, della cocciuta volontà di vincere che permea il mondo Juve non è soltanto un moto d’orgoglio né tantomeno denuncia una sindrome d’accerchiamento, annientata dalla montagna tricolore sulla quale i Campioni non smettono di arrampicarsi. E Allegri fa bene ad aspettare al varco non chi esercita legittimamente il diritto di critica, ma chi traveste la critica con la faziosità e svilisce i meriti di un allenatore che di nome non fa Giobbe.

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