Peruzzi: «Impresa Juve, si può!»

Intervista esclusiva all'ex portiere che racconta una carriera straordinaria iniziata a 17 anni. Con le sue parate ha regalato l'ultima Champions ai bianconeri: «Contro l'Atletico basta un episodio. La qualificazione è ancora possibile al 50 per cento. In bianconero ho imparato cosa sia il professionismo»
ANGELO PERUZZI (35 anni, 7 mesi e 20 giorni) l'8 ottobre 2005 in Italia-Slovenia 1-0© Bartoletti

Angelo Peruzzi, uno dei più grandi portieri della storia del calcio italiano, oggi dirigente della Lazio. Vorrei cominciare da una curiosità personale: ma è vero, come si è detto e letto, che da ragazzo ti sei allenato… andando a pescare senza amo e filo, solo con le mani? «Metà verità e metà leggenda».

Qual è la mezza verità?
«Che sì, è verissimo, come altri ragazzi del mio paese, mi piaceva andare ad acciuffare i pesci nei ruscelli, affondando direttamente le mani nell’acqua. Una discreta prova di abilità».

E la leggenda?
«La leggenda è che tutto questo sia servito per imparare a parare. Non scherziamo. Il calcio è un’altra cosa».

E allora veniamo a oggi. Com’è la vita dopo un 3-0 nel derby?
«Si sta molto meglio, siamo contenti. Eravamo stati eliminati dall’Europa League, avevamo parecchi infortunati. Insomma, vivevamo un momento non troppo felice. Il derby ci ha restituito una bella carica, dopo il pareggio in Coppa Italia col Milan. Ma non dobbiamo pensare che la stagione sia finita col derby. Questo sì sarebbe un errore».

Hai incontrato Totti negli spogliatoi?
«No, non ci siamo visti. Pensavo di salutarlo a fine partita, ma era impegnatissimo in una riunione».

[...]

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Sei stato invece un grandissimo calciatore. Dopo gli esordi alla Roma, ti sei ritrovato giovanissimo alla Juve.
«Dove ho imparato cos’è il professionismo. E come ci si prepara per vincere. Alla Juve, abituata ad arrivare sempre prima, anche un secondo posto viene vissuto come un fallimento. Se arrivi secondo, la società si fa sentire e tutto questo ti aiuta a dare sempre il massimo, a essere sempre pronto, sempre preparato. E poi c’è il peso, la responsabilità, di indossare una maglia molto pesante».

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Il primo ricordo della Juve?
«Boniperti che mi aspetta sulla porta. E mi dice: ragazzo, due cose. Tagliati i capelli e sposati».

E tu ti sei tagliato i capelli e sei corso a sposarti?
«I capelli erano già corti e ho dovuto dare soltanto una spuntatina. Poco dopo mi sono sposato. Ma comunque alla Juve avverti, come ti dicevo, anche indirettamente il senso di responsabilità. Infilarsi la maglia di Zoff, di Tacconi, di Sentimenti IV, credimi, basta per capire cosa stai facendo».

Sei stato protagonista, grande protagonista, l’ultima volta che la Juve ha vinto la Champions. Eri il portiere di quella squadra e in finale hai parato anche due rigori. Il primo flash?
«Solo la grande concentrazione. Io non riesco a esternare la mia gioia. Perché si ride e si piange tutti alla stessa maniera, ma io fatico a tirarlo fuori. Mia moglie mi dice e mi ripete spesso che sono un po’ orso».

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Più forte quella Juve o questa?
«Impossibile fare confronti. Questa sta vincendo l’ottavo scudetto consecutivo, ma non ha ancora vinto la Champions. Anzi, auguro di cuore alla Juve di farcela quest’anno. Può essere la volta buona».

Sei convinto di una possibile rimonta con l’Atletico Madrid?
«E perché no? Non è scontato che l’Atletico faccia la stessa partita dell’andata e soprattutto la Juve - diciamo storicamente e questa non fa eccezione - è capace di tutto. Io penso che la qualificazione sia ancora al cinquanta per cento».

In questi casi si dice che bisogna segnare magari nella prima mezzora per mettere pressione.
«Non dare retta, il calcio è cambiato. Una volta, in trasferta, le squadre pensavano soltanto a difendersi. E tu, se giustamente non facevi gol subito, faticavi moltissimo. Adesso si gioca al calcio in maniera più aperta e si possono fare anche tre gol in cinque minuti. Comunque, come ti dicevo, io ci credo. Basta un episodio per indirizzare partita e qualificazione in una certa maniera, favorevole alla Juve».

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Hai giocato con Simeone alla Lazio. Si capiva che sarebbe diventato un grande allenatore?
«Si capiva, si capiva. Non dico che facesse già l’allenatore, ma si intuiva che aveva le qualità del capo. D calciatore aveva una grande personalità».

Un consiglio alla Juve: più testa o più cuore?
«Il giocatore migliore è quello che ci mette al 70 per cento la testa e al 30 per cento il cuore. Quelli che ragionano sono sempre i migliori».

Nell’anno in cui la tua Juve vinse la Coppa Campioni, rimontaste al ritorno con il Real Madrid, un’altra spagnola...
«Vero, perdemmo uno a zero in casa loro e - se non sbaglio - feci anche qualche bella parata. Al ritorno ribaltammo la qualificazione. Due a zero. Anche se, all’ultimo minuto, uno tira e il pallone sfiora letteralmente il mio palo. Non sai che spavento».

Leggi l'intervista completa sull'edizione odierna di Tuttosport

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Angelo Peruzzi, uno dei più grandi portieri della storia del calcio italiano, oggi dirigente della Lazio. Vorrei cominciare da una curiosità personale: ma è vero, come si è detto e letto, che da ragazzo ti sei allenato… andando a pescare senza amo e filo, solo con le mani? «Metà verità e metà leggenda».

Qual è la mezza verità?
«Che sì, è verissimo, come altri ragazzi del mio paese, mi piaceva andare ad acciuffare i pesci nei ruscelli, affondando direttamente le mani nell’acqua. Una discreta prova di abilità».

E la leggenda?
«La leggenda è che tutto questo sia servito per imparare a parare. Non scherziamo. Il calcio è un’altra cosa».

E allora veniamo a oggi. Com’è la vita dopo un 3-0 nel derby?
«Si sta molto meglio, siamo contenti. Eravamo stati eliminati dall’Europa League, avevamo parecchi infortunati. Insomma, vivevamo un momento non troppo felice. Il derby ci ha restituito una bella carica, dopo il pareggio in Coppa Italia col Milan. Ma non dobbiamo pensare che la stagione sia finita col derby. Questo sì sarebbe un errore».

Hai incontrato Totti negli spogliatoi?
«No, non ci siamo visti. Pensavo di salutarlo a fine partita, ma era impegnatissimo in una riunione».

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