Allegri e Sarri agli opposti: perché la Juventus è di Max

Nuova sfida tra antichi rivali, in comune lo scudetto a Torino: il primo perfetto per il mondo bianconero, il secondo lontano per carattere e modi

Tra qualche mese, il 16 novembre, ricorrerà il ventennale della loro prima sfida da allenatori, un Sangiovannese-Aglianese 0-0 in C2, così emozionante che a fine partita un tifoso non troppo lungimirante (ma col senno di poi è facile) gridò a Maurizio Sarri e Massimiliano Allegri «Se siete allenatori voi...». Emozionanti lo sono diventate eccome più tardi, le sfide tra Sarri e Allegri, quando il primo passando nel 2015 al Napoli ha raggiunto nel grande calcio il secondo, che aveva appena vinto con la Juve il suo secondo Scudetto e la Coppa Italia. Il Napoli di Sarri è stato per tre anni l’avversario per eccellenza della Juve di Allegri. Non solo perché è stato la rivale più forte, quella andata più vicino a strappare lo Scudetto alla squadra bianconera, ma perché era una squadra profondamente diversa dalla Juve, come profonadamente diversi sono Sarri e Allegri e profondamente diversi sono i mondi delle due società. Era una rivalità perfetta.

Sarri e Allegri: coralità vs giocata del singolo

Profondamente diversi, Sarri e Allegri, probabilmente con due unici punti di contatto rintracciabili nella toscanità (peraltro essa stessa diversa come le colline del Valdarno e gli scogli di Livorno) e nella bravura di allenatori. E’ proprio nell’esprimere la loro abilità di tecnici che Sarri e Allegri espongono la loro diversità, fin dall’opposta visione della radice della bellezza del calcio: che per Sarri sta nella coralità e per Allegri nella giocata del singolo. Da lì derivano le differenze tra un allenatore che nell’organizzazione vede il presupposto fondamentale per creare una rete di passaggi e movimenti e uno che la considera la base, soprattutto difensiva, per esaltare il talento dei singoli, per consentire loro di seguire istinto e intelligenza. Così l’organizzazione permea quasi totalmente il calcio di Sarri, dalla fase difensiva a quella offensiva («Ma negli ultimi 30 metri lascio molta libertà») e rende quasi indispensabile avere un modulo di riferimento fisso, almeno nell’arco della stagione, e una squadra titolare ben definita. Così l’organizzazione è una traccia nel calcio di Allegri, permettendogli di variare moduli, atteggiamenti e uomini nell’arco di una stessa partita, non solo di una stagione.

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Sarri lo studioso e Allegri il teorico

La diversità però non si limita al campo. Anche fuori, pur avendo un buon rapporto e amici comuni, non potrebbero essere più lontani. A cominciare dallo spazio che il campo occupa nelle loro vite fuori da allenamenti e partite: totalizzante per Sarri, studioso di calcio quasi 24 ore su 24, molto meno per Allegri, teorico del «cazzeggio creativo»: «Non poche volte mi è capitato di trovare l’ispirazione mentre mi rilasso». Lontanissimi anche nell’immagine e nei modi: quasi sempre distaccato, ironico e serafico Allegri, sempre elegante e quasi sempre diplomatico; quasi sempre polemico, pronto alla parolaccia, quasi mai elegante e mai diplomatico Sarri. Agli antipodi, come la loro esperienza alla Juventus, dove Sarri sostituì proprio Allegri nel 2019. Un unico punto di contatto, strettamente legato a quello citato prima, ovvero la loro bravura: entrambi hanno vinto lo Scudetto. Già mesi prima di vincerlo, però, Sarri aveva capito che quella bianconera era un’avventura a termine: troppo ruvido per un ambiente levigato come quello juventino; troppo concentrato solo sul campo per i molteplici aspetti di un club come la Juve; troppo diretto e troppo diverso dal suo predecessore per guidare dei calciatori che avevano vinto quasi tutto (e due volte erano andati vicini a cancellare anche il quasi) percorrendo una strada opposta. Forse - solo forse perché alcune delle differenze citate sarebbero rimaste - Sarri avrebbe potuto guidare la Juve progressivamente rinnovata e ringiovanita delle stagioni successive. Allegri è perfetto per guidare qualsiasi Juve: ecco perché uno è rimasto una stagione e uno è alla settima. Ecco perché sono perfetti da rivali, come domani.

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Tra qualche mese, il 16 novembre, ricorrerà il ventennale della loro prima sfida da allenatori, un Sangiovannese-Aglianese 0-0 in C2, così emozionante che a fine partita un tifoso non troppo lungimirante (ma col senno di poi è facile) gridò a Maurizio Sarri e Massimiliano Allegri «Se siete allenatori voi...». Emozionanti lo sono diventate eccome più tardi, le sfide tra Sarri e Allegri, quando il primo passando nel 2015 al Napoli ha raggiunto nel grande calcio il secondo, che aveva appena vinto con la Juve il suo secondo Scudetto e la Coppa Italia. Il Napoli di Sarri è stato per tre anni l’avversario per eccellenza della Juve di Allegri. Non solo perché è stato la rivale più forte, quella andata più vicino a strappare lo Scudetto alla squadra bianconera, ma perché era una squadra profondamente diversa dalla Juve, come profonadamente diversi sono Sarri e Allegri e profondamente diversi sono i mondi delle due società. Era una rivalità perfetta.

Sarri e Allegri: coralità vs giocata del singolo

Profondamente diversi, Sarri e Allegri, probabilmente con due unici punti di contatto rintracciabili nella toscanità (peraltro essa stessa diversa come le colline del Valdarno e gli scogli di Livorno) e nella bravura di allenatori. E’ proprio nell’esprimere la loro abilità di tecnici che Sarri e Allegri espongono la loro diversità, fin dall’opposta visione della radice della bellezza del calcio: che per Sarri sta nella coralità e per Allegri nella giocata del singolo. Da lì derivano le differenze tra un allenatore che nell’organizzazione vede il presupposto fondamentale per creare una rete di passaggi e movimenti e uno che la considera la base, soprattutto difensiva, per esaltare il talento dei singoli, per consentire loro di seguire istinto e intelligenza. Così l’organizzazione permea quasi totalmente il calcio di Sarri, dalla fase difensiva a quella offensiva («Ma negli ultimi 30 metri lascio molta libertà») e rende quasi indispensabile avere un modulo di riferimento fisso, almeno nell’arco della stagione, e una squadra titolare ben definita. Così l’organizzazione è una traccia nel calcio di Allegri, permettendogli di variare moduli, atteggiamenti e uomini nell’arco di una stessa partita, non solo di una stagione.

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