Il razzismo contro Lukaku e il razzismo che uccide, la riflessione di Don Angelo

Il razzismo contro Lukaku e il razzismo che uccide, la riflessione di Don Angelo© Manuela Viganti/Agenzia Aldo Liverani sas

Non voglio fare la predica, ma non dovremmo accontentarci di condannare il razzismo contro Lukaku e gli squallidi insulti che ha ricevuto martedì sera. Non può bastare per metterci a posto la coscienza, perché è solo una delle forme di razzismo e, per quanto indegna, non uccide come quelle a causa delle quali la gente muore in mare, muore di fame, dorme per le strade, viene picchiata, non trova lavoro, spesso senza neanche un titolino su un giornale. Lukaku è un simbolo ed è giusto metterlo al centro dell’attenzione per condannare e punire l’idea di razzismo. Ma Lukaku, fuori da uno stadio, è un uomo che guadagna milioni e che non è certo discriminato per il colore della sua pelle. Quindi, mentre ci scandalizziamo per il trattamento che ha ricevuto martedì sera, proviamo a ricordarci dei morti di Cutro, dei disperati in fuga dalle guerre dimenticate che dilaniano l’Africa, delle ragazze iraniane, dei giovani afghani, dei siriani, di chi cerca accoglienza e non la trova. Ricordiamo chi viene ucciso dal razzismo.
 
Qualche giorno fa, nella mia parrocchia, ha cercato aiuto una donna della Guinea con quattro bambini: dormivano per strada, non avevano nulla tranne il disprezzo di quella parte di gente razzista che purtroppo popola sempre di più il nostro Paese. Abbiamo trovato loro una casa e, anche se non è ancora allacciata alla rete elettrica, ha fatto commuovere quei bambini, che così piccoli hanno già sofferto troppo. Sì, stiamo diventando un Paese razzista, ma dobbiamo indagare sul significato di razzismo, non fermarci ai quattro imbecilli che insultano Lukaku in uno stadio, perché il razzismo è l’incapacità di accogliere l’altro, di aiutarlo, di amarlo. Il razzismo è diventato una questione ideologica, viene strumentalizzato dalla politica, finisce in caciara quando c’è di mezzo il tifo calcistico e, in tutta questa retorica, nessuno insegna più a voler bene agli altri. Basterebbe quello per fare qualche passo avanti. Fra le classi nelle quali insegno ce n’è una che aveva spesso espresso pensieri piuttosto razzisti, soprattutto contro gli immigrati e i profughi. Poi è arrivata nella nostra comunità un gruppo di profughi siriani che aveva bisogno di tutto. Indovinate quali ragazzi hanno donato di più e le cose più belle? Sì, loro. Perché l’amore verso gli altri si può imparare e l’amore è l’unica cura possibile contro il razzismo. A Lukaku e ai giocatori che combattono con coraggio e orgoglio il razzismo negli stadi, chiedo di andare oltre e provare venire con me a Lesbo, a Lampedusa, ai confini della Turchia e nei luoghi dove il colore della pelle fa la differenza fra la vita e la morte.

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