Oscar Farinetti: "Juventus e Torino eccellenze: perciò tifo per loro”

L’inventore di Eataly, premiato al ‘Magna Graecia Film Festival’, racconta la passione per lo sport e il suo tifo diviso: "A Bettega chiedo sempre..."
Oscar Farinetti: "Juventus e Torino eccellenze: perciò tifo per loro”© ANSA

Ambasciatore delle eccellenze eno-gastronomiche italiane nel mondo, Oscar Farinetti è anche un grande appassionato di calcio: «Sono juventino, ma la mia seconda squadra è il Torino». Abbiamo parlato con lui al suo arrivo a Catanzaro dove, ieri sera, ha ricevuto la Colonna d'Oro del Magna Graecia Film Festival «perché come il cinema anche lui ha migliorato la nostra vita con Eataly che non è solo un brand ma una filosofia di vita», ha sottolineato Gianvito Casadonte, direttore artistico della kermesse calabrese dedicata alle opere prime.

Oscar, figlio di partigiano. Che idea di Italia aveva papà Farinetti?
«L'idea di un'Italia libera, meritocratica, democratica, dove ciascuno poteva difendere la sua idea liberamente. Dove ci fosse spazio per gli ultimi e i più poveri».

La sua figura, oramai, è associata all'Italia intera, ma cosa si porta dietro del suo Piemonte?
«Molto. Soprattutto del mio territorio specifico. Le mie origini. Le Langhe: il Barolo, il Barbaresco, il tartufo, la nocciola, Pavese, Fenoglio, l'intraprendenza, la voglia di fare. Ognuno di noi deve partire dalle proprie radici, ma poi deve ragionare in termini globali».

Tra le eccellenze piemontesi, ci metterebbe anche la Juventus?
«La Juve nel calcio ha fatto cose grandi e prima di lei le fece il Grande Torino. Devo dire che, sebbene il mio cuore sia bianconero per motivi ereditari, sono tifoso di entrambe le squadre della mia regione. Certo, nonostante abbia anche un debole per il Toro, sono soprattutto della Juventus perché era la squadra di mio padre. Mi sono fatto tutta la filiera: da Boniperti e Sivori a Platini, Baggio, Del Piero, Dybala e, oggi, Chiesa. Allo stadio ci vado quattro volte all'anno e mi piacerebbe che la Juve potesse fare meglio in Europa perché ho voglia di rivederla dal vivo sui principali palcoscenici internazionali».

Il new deal bianconero le genera ottimismo?
«Sì. Intanto c'è da dire che la Juventus rimane in mano a una famiglia fantastica, gli Agnelli. Conosco bene John, un po' meno Andrea. E sono sicuro che metteranno in campo tutte le forze per fare bene. E poi c'e questo allenatore che a me piace moltissimo: sì, secondo me, Allegri è un figo».

A proposito di eccellenze italiane: ci dovrebbe essere spazio anche per Del Piero in questa nuova Juve?
«Senza dubbio. È un ragazzo molto intelligente, non parla mai a vanvera. A me piacerebbe molto perché è la nostra bandiera. Un calciatore pazzesco e una persona perbene. Lo ammetto, sono filo Del Piero».

Probabilmente, il Grande Torino è stata una delle prime marche di successo che l'Italia ha esportato nel dopoguerra.
«Era la squadra più forte del mondo e, forse, di tutti i tempi. E con tutti italiani! Un mito in Italia e nel mondo. Non sono nazionalista, tutt'altro. Eppure suggerirei agli Agnelli di puntare molto di più sugli italiani, perché la Juve è di Torino, la città dove s'è fatta l'Italia».

Un simbolo d'italianità, un po' come l'ItalJuve nel 1982.
«Praticamente c'era tutta la Juventus in campo. Poi, con l'aggiunta di Boniek e Platini è diventata la squadra più forte che forse abbia mai visto. È incredibile come quella squadra lì sia andata a perdere ad Atene. Pazzesco».

È anche bello che a vincere non sia sempre il più forte.
«La palla è il caos. È la meraviglia, l'espressione della vita. E chi è più bravo? Chi riesce a gestire meglio l'imperfezione, il caos. Non esiste una rappresentazione più forte della vita del pallone».

Ha sognato spesso anche lei il gol di Magath?
«Porca miseria... Sono amico di Bettega e ancora oggi gli chiedo perché, invece di tirare di testa, non sia andato con i piedi. Di occasioni ne abbiamo avute tante. La vita, però, è un percorso tra l'atteso e il percepito. E tutti noi avevamo un'attesa esagerata. Eravamo sicuri di vincere perché eravamo i più forti e avevamo di fronte una squadra che non era niente di eccezionale. Ed eppure abbiamo perso. Quando va così, ci stai male il doppio».

Che idea si è fatto dell'irruzione dell'Arabia Saudita nel calcio? Si può comprare anche la tradizione e la passione?
«Quando un fenomeno si manifesta solo per il peso del denaro smaschera la parte brutta della globalizzazione. È orribile e spero che questa cosa qui non duri molto, che duri pochissimo. Loro, però, sono bravi: le sembra normale che Dubai abbia più turisti stranieri di Roma? Detto questo, a me piacerebbe molto di più se pagassero meno i calciatori e più gli operai pachistani».

Siamo ancora fortunati a essere nati in italia?
«Assolutamente sì, l’Italia è ufficialmente il paese più bello del mondo. Il problema è quanto ci sbattiamo per farci perdonare questo culo pazzesco che abbiamo avuto. E secondo me dovremmo sbatterci un po’ di più».

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