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MILANO - Dall’enfasi ai primi dubbi, dalle reciproche accuse all’abbandono dell’idea. E adesso, c’è da giurarci, toccherà alle penali e, eventualmente, anche agli avvocati. L’affaire Pontello sta finendo nel peggiore dei modi: e non è un gran figura quella che ha fatto il Milan, sull’argomento. Perché dopo aver puntato tutto su quel progetto, ora si è accorto di aver sbagliato i conti e le strategie. Di aver buttato più di un anno inseguendo un sogno irrealizzabiile con in più la conseguenza di dover tornare a convivere con un coinquilino che in realtà non ti vorrebbe più. Non solo: e vogliamo parlare di quanto costerà, in futuro, in termini di fatturato, la mancanza di uno stadio di proprietà, specie adesso che, dopo la Juventus, anche altre realtà calcistiche si stanno attrezzando. Urge, pertanto, domandarsi perché. Perché è successo tutto questo? Barbara, è ovvio, esce sconfitta da questa vicenda: l’enfasi maggiore, per lo stadio al Portello, è sempre stata sua. Ma non ha colpe evidenti, se è finita in questo modo.
DUE ANIME - Piuttosto, sono state decisive le volontà di mister Bee e di papà Silvio. Il broker thailandese, malgrado manchino ancora due settimane al “closing”, è già molto influente in società. E da lui, secondo quanto trapela a casa Milan, è arrivato un secco no al Portello, anche se non si è ben capito il motivo di tale opposizione. Per chi vuole aumentare il fatturato e diffondere il brand, lo stadio nuovo e di proprietà avrebbe dovuto essere una risorsa importante. Invece preferisce San Siro. Il presidente Berlusconi, invece, ha fatto solo un ragionamento affettivo: a San Siro è troppo legato, tutti i suoi straordinari successi da padrone del Milan sono arrivati in quell’impianto. E non vuole essere il presidente che si è preso la responsabilità di abbandonare lo stadio dei trionfi
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