Jansson è sicuro: «È un Toro da Europa»

Intervista al difensore del Torino: «Nel Toro cerco di crescere ogni giorno guardando i compagni e ascoltando Ventura: in Italia c’è il calcio che mi piace, molto tattico. E sto imparando la lingua: vado a lezione»
Jansson è sicuro: «È un Toro da Europa»© LaPresse
TORINO - Pontus Jansson, la sfida contro il Bruges l’ha fatta diventare popolare tra i tifosi granata. «Sì, è vero. I tifosi sono molto caldi e per strada mi fermano spesso. E’ davvero un affetto incredibile, al quale non ero abituato».

E cosa le dicono?
«Dicono “grande Jansson” e vogliono una foto. E’ molto divertente!».

Lei è alto, ma abile palla al piede.
«Per forza, fino a 18 anni ero attaccante. Dovevo necessariamente sapermela cavare. E poi fin da bambino, anche quando non mi allenavo, giocavo a pallone con gli amici, ero sempre palla al piede pure per strada. Cinque o 6 ore al giorno le ho sempre dedicate al calcio».

A Bruges, Ventura le urlava di andare avanti: in cosa può e deve migliorare?
«Il tecnico mi diceva “entra”: è uno degli aspetti in cui devo crescere. Ma ce ne sono tante di cose migliorabili. La palla anche a Bruges doveva girare più velocemente: stiamo lavorando ed è quello che mi piace. Sto imparando, settimana dopo settimana».

Stupito dal fatto di essere partito titolare giovedì?
«Un po’ sì, anche se due giorni prima del match nell’allenamento lo avevo capito. La partita era molto importante, contro un avversario come il Bruges temibile specialmente in casa. Ma noi giovani siamo sempre pronti: se serve...».

Ventura ha dimostrato di fidarsi dei suoi giovani: quanto è importante questo per la vostra crescita?
«So che Ventura crede in me e negli altri ragazzi. Lui è un maestro per noi, ci trasmette sicurezza, sa sempre cosa dirci e come dircelo. E’ fondamentale il rapporto che si è instaurato».

Prima del match in Belgio, Glik le ha dato qualche consiglio?
«Me lo dà sempre, non solo lui. Anche Bovo, Moretti, Vives, i giocatori più esperti, mi danno molte indicazioni. Tecniche, ma non solo. Allenarsi con giocatori così ogni giorno è come una scuola».

Ha dimostrato personalità: come procede l’inserimento nel calcio italiano?
«Il calcio italiano è molto tattico, nel mio Paese non era assolutamente così. In Svezia ti dicono: vai in campo e gioca. In Italia non è così. Prima di ogni partita guardiamo due o tre video della squadra avversaria, analizziamo tutto nel dettaglio: è un altro mondo. Ho bisogno di un po’ di tempo, ma è ciò che voglio: ho scelto il Toro proprio per questo. E’ il calcio che amo, mi piace questa ricerca del gioco».

Lei non era debuttante in Europa: anche questo l’ha aiutata?
«Con il Malmoe ho giocato anche in Champions League, per cui ero già preparato ».

Doveva quasi dare consigli lei ai compagni...
«No, beh... Non esageriamo. Il Torino è un grande club e io ero abbastanza teso all’inizio... Poi mi sono sciolto».

A proposito di Malmoe, la squadra nella quale è cresciuto, ha messo in difficoltà la Juventus, ma non è bastato.
«Sono andato a trovare i miei ex compagni in hotel poco prima della partita. Hanno fatto una bella figura».

Riuscirà lei con il Toro a battere la Juve?
«Il Torino è più forte del Malmoe, ha più possibilità di vincere contro la Juve...».

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