Solito mercato Toro, solito Cairo al risparmio

Colpevole non completare la rosa in estate, peggio arrivare a gennaio ancora impreparati
TORINO - Definire deludente il mercato del Torino è riduttivo. Tautologico, forse uno spreco, vista l’ovvietà. La vera delusione, infatti, è il suo presidente. Ha deluso, sta deludendo non tanto noi - semplici registratori delle sue puntuali quanto spuntate promesse - quanto i tifosi. E dire che la stragrande maggioranza di loro non si è mai fatta grandi illusioni né ha l’ardire di accampare irragionevoli pretese. Si aspettavano e vogliono il giusto: né più né meno di quanto, all’incirca, fu Cairo a promettere.

BILANCI IN ORDINE: GIUSTO - Non sogni per sognare, tra l’altro: semplice correzione dei marchiani errori estivi, la sutura di quei buchi, diventati bachi, lasciati nell’organico da un mercato incompleto, prim’ancora che errato come poi si è in gran parte rivelato alla prova dei fatti. Di qui, dall’estate carente e dall’inverno assente, s’è via via ingrossato il malumore. Sino a diventare un fiume che rischia di trascinare via il buono, che c’è!, col pessimo ch’è tornato. L’hashtag #cairobraccino è diventato un successone nel quale lo spiritoso e salace si mischia col greve e, ebbene sì, pure con l’ingiusto. Cairo ha anche meriti innegabili, non solo difetti cronici e ciclici. La presunta tirchiaggine, ad esempio, non è il vero problema. Anzi. Chi pretende da Cairo spese insostenibili per l’attuale dimensione del Torino è uno scriteriato: ma esiste? Oppure gl’infuriati lo tacciano di eccessiva parsimoniosità perché non fa il fattibile e il doveroso? Tra i punti a favore del presidente, certamente è la sua cura per i conti e per la sanità/sostenibilità di gestione. Chiave decisiva e dev’essere un vanto. Piuttosto, il punto critico è un altro: la capacità di restare in equilibrio tra bilancio in ordine e produttività in campo (risultati) e in lista (rivalutazione dei giocatori). La prima cosa che mina il bilancio, nel calcio, sono i risultati deprimenti: tutto si deprezza, la gente scappa dallo stadio e non compra, i giovani non crescono, i punti forti comunque si deprezzano (e iniziano ad andare in difficoltà). Quell’equilibrio nei conti, perciò, è un capolavoro di opportunismo, tempismo e capacità: devi saper pendere di qua, dove sta il risparmio quando e dove si può; devi saper pendere tempestivamente di là, dove sta l’investimento e il rischio quando è necessario, se non vitale, o opportuno e conveniente. Proprio ciò che il Torino di Cairo ha cominciato a fare in epoca venturiana, ma che ha clamorosamente mancato di replicare quest’anno. Quegli sbandierati investimenti estivi (22 milioni) adesso sono, o appaiono, sbagliati: probabilmente non lo sarebbero stati, non all’attuale eccessivo livello, se la società avesse completato l’organico con ciò che mancava e manca: qualità a centrocampo e in attacco. I maggiorenti granata lo sanno adesso come lo sapevano allora: gravissima dunque l’impreparazione palese con la quale si sono presentati alla riapertura dei trasferimenti.

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