«Toro, crederò al Fila quando vedrò le gru»

L’ex bomber granata: «Troppe parole negli anni. Eppure, al Fila siamo cresciuti con il Toro nel cuore, sulla pelle, imparando cosa vuol dire legarsi a una maglia. E avevamo il contatto con la gente»
«Toro, crederò al Fila quando vedrò le gru»© LaPresse
TORINO - (e.e.) Il Filadelfia, ieri, oggi, domani. Nei pensieri, nella testa, nel cuore di Paolino Pulici. Ma non ancora negli occhi, almeno non quello del futuro. «Ci crederò quando vedrò le gru in azione», la sua affermazione spontanea, dopo tante delusioni patite in questi anni. Non è questione di impegno, è questione di fatti. «Troppe parole sono state pronunciate invano», già. Eppure, il Toro non sarebbe Toro senza quel campo. Che allenava i muscoli e il cervello. Che aiutava a realizzare i sogni dei bambini. Che univa i tifosi e i campioni, la squadra dei grandi e quelle dei piccoli. «C’era un corridoio che ci faceva sentire parte di un unico gruppo. Noi, poi la De Martino, la Primavera e via via sino ai pulcini. Questo luogo creava senso di appartenenza, stando in quel posto coltivavi l’amore per la maglia che ti entrava dentro. Allora sì eri disposto a fare una corsa in più, per te e per i compagni».

SCUOLA DI VITA - Non era solo questione di muri, di mattoni che trasudavano storia. Era questione di vita... granata. «In allenamento, avevi a chi ispirarti. Magari io a Mazzola e il fanciullo della Primavera a me». Una catena che si autoalimentava, producendo calciatori e veri uomini, risultati e soddisfazioni. «Una volta i “vecchietti” instradavano i giovani. Le sciocchezze di Benassi quest’anno? Beh, io una volta mi sono buttato e l’arbitro ha fischiato il fallo. Ferrini mi ha preso da parte: “Ehi, non farlo più, ché la prossima volta non ti dà il rigore. Guarda la tv, quello. E tu sembri uno scenografo».

ALLA ZEMAN - Le gradinate di Zeman? Macché, le gradinate del Filadelfia. «Adesso si allenano in palestra, ma così gonfi i muscoli e non corri certo più veloce. Ai miei tempi ti facevi il mazzo in montagna, con gran salite e per le prime settimane non vedevi la palla. Perché i tedeschi in dieci anni sono diventati fenomeni mentre prima erano quasi nessuno? Sono tornati alla scuola del calcio, mica sono gli stadi che li hanno resi campioni del mondo. E ai giovani da noi si inculca l’idea che conti solo vincere, non migliorare. A noi dicevano: fino ai 17 anni insegniamo, poi tu devi dimostrare di avere imparato. Prima insegnavano la tecnica, a lavorare su di te. Io avevo il destro, ho lavorato per usare il sinistro. E aveva ragione chi mi diceva che era il più potente. Come ho fatto? Contro il muro. Ai miei tempi c’era la “forca”, così imparavi a dare del tu alla palla, a muoverti, a sincronizzare i movimenti, ad allenare i riflessi e stavi attento: rischiavi di colpirti le parti basse...».

I VIVAI - Dopo l’unione, la diaspora. «Adesso, purtroppo, si stanno perdendo i vivai. Anche l’Atalanta sta mollando. Si salva l’Empoli. Manca coraggio. Servono insegnamenti e un luogo comune, da qui non si scappa. Le giovanili del Toro dove si preparano? Beh, ovunque. E non c’è più contatto con la gente, con la storia degli allenamenti a porte chiuse per non mostrare gli schemi agli avversari. I tifosi sono la nostra forza, restano quelli che comprano il biglietto per la partita e per la pay tv. E se non hai il loro apporto con che grinta scendi in campo? Al Fila incontravi quello che ti poneva domande, che ti dava consigli, che si complimentava, che ti rimproverava. E magari gli dedicavi il gol, dopo un errore. Noi eravamo un pugno chiuso, non una mano aperta. E il merito era anche del Fila. Per questo i tifosi si affezionavano, per questo tu tenevi di più alla maglietta che indossavi». Come una seconda pelle.


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