Perinetti: «Perché i top club "snobbano" Ventura?»

«Il Toro è a un bivio. Se vuole diventa big»
Perinetti: «Perché i top club "snobbano" Ventura?»© LaPresse
TORINO - Giorgio Perinetti, si aspettava che Ventura...«Alt. Prima di parlare dell’attualità vorrei raccontare qualche aneddoto». Prego. «Agli inizi degli Anni 90 ero un giovane dirigente del Napoli post Maradona, con Ferlaino presidente. Fabrizio Salvatori, che poi è stato dirigente del Torino di Cairo, era molto amico di Sergio Borgo, che ai tempi era alla Pistoiese. Quella squadra era allenata da Giampiero Ventura: ci siamo conosciuti, abbiamo parlato, mi sono trovato di fronte un tecnico preparato e dalle idee innovative. Andò poi al Giarre, con l’intenzione mia nella stagione successiva di portarlo a Palermo. Poi non è stato possibile e alla fine lo ha preso Zamparini a Venezia».

E dopo?
«Siamo rimasti in contatto, fino a quando c’è stata l’occasione, a Bari. Conte a giugno era andato via, un po’ come ha fatto alla Juventus. Noi eravamo in difficoltà, dovevamo decidere in fretta. Ho chiamato Ventura, era in viaggio negli Stati Uniti con la moglie. Gli ho chiesto la disponibilità, lui mi ha detto che aveva un’intesa di massima con la Triestina. Però l’ho convinto: il suo 4-2-4 aveva punti di contatto con quello di Conte. La piazza era scettica: era andato via un eroe della patria, non era semplice sostituirlo. Invece Giampiero ha superato il record di punti del Bari in serie A proponendo un calcio spettacolare, eccellente. Purtroppo poi la strade si sono divise di nuovo. E pensare che io Ventura lo avevo visto molti, molti anni prima».

Cioé?
«Ero alla Roma, Liedholm in persona mi chiese di preparargli una scheda sul numero 7 della Nazionale Dilettanti di allora. Era Ventura versione calciatore».

E come se la cavava?
«Bene, anche se forse non era nel suo ruolo naturale. Ma mi avete chiesto del Ventura allenatore. Se la domanda è se mi aspettassi un Ventura super anche al Torino, certo: ne ero sicuro».

Anche che potesse ripetersi dopo un’annata stupefacente?
«Sì, perché non è facile sostituire gente come Immobile e Cerci, ma quando hai un’idea di calcio, puoi cambiare gli interpreti e il risultato rimane sempre di alto livello. Ventura è uno dei pochi istruttori di calcio in Italia: è uno straordinario insegnante, capace di valorizzare il patrimonio tecnico».

La crescita di alcuni elementi lo dimostra: lei a Palermo forse non si aspettava che Glik e Darmian sarebbero esplosi.
«Diciamo che la retrocessione del Palermo in serie B ha complicato la situazione: a quel punto per noi tenerli sarebbe stato difficile e il Torino ha potuto approfittarne. Il club adesso, grazie a Ventura, ha un modello sul quale costruire il proprio futuro».

Lo stesso Ventura tuttavia è chiaro: la società granata deve dare un segnale.
«Diciamo che il Torino è a un bivio. Da una parte c’è la possibilità di alzare l’asticella e avere ambizioni sempre più alte. Oppure si può essere chiari e rimanere a galla, senza pretendere la luna. Ma questo dipende dalla società, come è normale che sia. E’ evidente che tenere i migliori giocatori sarebbe il primo passo per puntare in alto».

Lei chi blinderebbe?
«Glik, perché incarna i valori e l’immagine del Torino, quello che conosciamo e quello che ci è stato raccontato».

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