Ventura esclusivo: «Così il Toro ha ritrovato l’anima»

Intervista esclusiva: «Questa squadra sta tornando grande perché si basa sui rapporti umani. Vi dico tutto su Cairo, Glik, Vives, Baselli, Stevanovic, Sanchez Mino e…»
Ventura esclusivo: «Così il Toro ha ritrovato l’anima»© www.imagephotoagency.it
TORINO - E’ un Giampiero Ventura granata: granata come mai. Anche se fa finta di no, com’è nel personaggio. Personaggio che non è da depliant, al contrario è parte integrante di quanto fa e ottiene in campo. Granata, perché generoso e al contempo gelosissimo. Generoso con la società e con Cairo, il presidente (entrambi, l’uno assieme all’altro, hanno ottenuto i risultati migliori delle loro reciproche storie), con i suoi ragazzi e i suoi infaticabili collaboratori, di campo e di vita. E gelossissimo del suo Toro, la sua creatura, e del suo lavoro (mai abbastanza compresi). Col quale, lo diciamo noi (e da tempo), ha ridato al Toro l’anima, ovvero ridato il Toro al Torino: ci spiega dove, come e quando. Poi spiega perché certi riescono e altri no, in granata; e perché chi va, in gloria, poi gloria perde. E non ha timore di stimolare la speranza: vincere qualcosa è difficile, ma lavorando così, l’occasione può capitare e il Toro la può prendere.
 
Con Giampiero Ventura, il Toro è tornato. Come ha fatto?
«Lavorando tutti i giorni, anzi giorno e notte, facendo anche quello che non era compito mio. A 360 gradi, prendendomi delle responsabilità. Ininterrottamente, undici mesi all’anno. Tutto documentato, perché non ero solo. E ne approfitto perché devo, e sottolineo devo, dire grazie ai miei collaboratori, che oggi fanno più ore di lavoro e gestiscono a volte l’ingestibile. Senza di loro nulla sarebbe stato possibile».
 
In questi anni, qualche volta lei è stato criticato perché non dava spazio a talune promesse, che poi sono andate altrove. Altrove, nessuna di queste è diventata certezza: insomma, zero fenomeni. Come fa a leggere nei ragazzi la capacità di affermarsi, di poter diventare un giocatore da Toro?
«Vi deludo: è il segreto di Pulcinella. A livello di Serie A, ci sono dei giovani, ma non solo giovani, che se dopo tre o quattro mesi non sono pronti per giocare, li mettono in un angolo fino a fine anno e poi li danno via. Lo fanno con gli Shaqiri e i Podolski, figurarsi con chi è meno noto. Noi abbiamo la pazienza prima di tutto di capire il giocatore, cercare di farlo maturare, spiegargli qual è la strada sulla quale deve lavorare, perché ci deve mettere del suo. Io, noi abbiamo solo il potere di instradare, poi tocca all’individuo proseguire. Sanchez Mino ti dice: io non ho da imparare assolutamente niente. Di fronte a uno che non ha da imparare assolutamente niente, io dico: benissimo. Vai in campo e fai bene, io sono felice. Ma se vai in campo e fai male, io ti ripeto che devi imparare. Se tu mi rispondi che nulla hai da imparare, io parto dal presupposto che quello sei e quello rimani. E quindi? Come vedete, è semplicissimo. Se uno si presenta dicendomi “io sono”, io non dico chi cavolo è questo. L’unica cosa che faccio è dargli un pallone, un campo e degli avversari. Se poi il campo dice che tu non sei, io spiego qual è secondo me la strada da seguire per diventare».
 
Un esempio, una strada?
«Bonucci mi ha detto: fammi diventare giocatore. Lui lo era già, ma lo è diventato davvero nel momento in cui ha detto quello. Vuoi diventare calciatore? Bene, smetti di fare così e vai in campo ad allenarti cosà: dopo 12 mesi giocava in Nazionale. Ed era retrocesso in Serie C. E’ il giocatore che decide se vuole diventare o no. Ovvio che deve avere delle qualità, delle potenzialità. Sanchez Mino ha potenzialità, Sansone ha potenzialità, e tanti altri. Noi in fondo possiamo solo parlare, spiegare, insistere».
 
Invece, chi ha aspettato i tempi di Ventura...
«I loro tempi, non i miei. I loro...».
 
Ok. Fatto sta che sono tutti cresciuti tanto. E non solo i giovani, come i Darmian e i Glik, pure i meno giovani: i Vives, i Gazzi.
«Persino a Torino talvolta qualcuno diventa cieco e sordo, o smemorato. Spesso nel calcio ci si rifiuta di vedere e di ascoltare, quando invece basta guardare e sentire quello che avviene. Vives giocava quasi terzino nel Lecce: ha fatto la mezzala, il mediano, il metodista, il centrale difensivo in Serie A. Gazzi faceva il mediano di rottura: ha fatto il metodista, la mezzala, gli abbiamo fatto fare tutto, ci manca solo che dia il bianco ai muri... Eppure sono quelli meno lodati di tutti, forse proprio perché hanno fatto questo. Andrebbero venerati, perché l’hanno fatto per il Toro: hanno anteposto il Torino a se stessi».
 
Un livello di dedizione difficilissimo da raggiungere, nel mondo d’oggi ci pare quasi impossibile. Ritorno alla domanda che non trova esaustiva risposta: come ha fatto?
«Noi siamo una squadra che si basa sui rapporti. E non ne vedo tante. Prima viene l’uomo, l’uomo fa il calciatore: non viceversa. Basarsi sui rapporti significa cercare e trovare la chiave di accesso di ognuno, riuscire a capire di cosa ha bisogno, scoprire quale strada è meglio seguire per mettere a fuoco le potenzialità e liberarle. Dalle altre parti non ti danno questo tempo, perché non c’è tempo».
 
Solo l’allenatore può darlo, il tempo: giocando sulla propria pelle, giusto?
«Sì, gioco sulla mia pelle, perché se le cose non vanno bene è sempre l’allenatore che paga. Ma questa è la nostra strada, l’unica. Quando Cerci firma un bel contrattone, non è che a me regala una Smart, un orologio o una cena. Mi ringrazia, dice che mi è debitore. E Ciro fa lo stesso, mi ha detto: lei è un grande. E’ finito lì. Giusto, non lo facciamo per essere retribuiti e gratificati da loro, lo facciamo perché è l’unico modo che abbiamo per raggiungere certi livelli. I giocatori che ci arrivano da soli a tirare fuori il campione non hanno bisogno di noi, gli altri invece fanno al caso nostro».
 
Difatti, chi al Toro ha fatto meraviglie, poi altrove si... meraviglia e...
«Quella è la domanda da farsi: perché? Perché via da qui hanno difficoltà a fare bene? Perché non trovano quello che c’era qui: il rapporto, la capacità di dire questo sì e questo no, se vai lì ti bagni se vai là prendi il sole».

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