Mandorlini: «Io figlio del Fila. Ma ora batto il Toro»

Il tecnico del Verona: «Vorrei esserci quando verrà posata la prima pietra»
Mandorlini: «Io figlio del Fila. Ma ora batto il Toro»© LaPresse/Spada

Andrea Mandorlini, domenica il suo Verona pranza con il Toro: cosa si aspetta? Che non vada di traverso? Si scherza…
«Beh, è un po’ di anni che tra la B e la A ci scontriamo e a suon di gol. E di solito le prendiamo, in casa. Incredibile: loro che vincono a Verona, sempre, e noi che ogni tanto ci riusciamo a Torino. Spero davvero che il fattore campo, questa volta, cambi il trend. Sarebbe ora».

Granata in vetta, voi in coda.

«Il match è difficile, per mille motivi. E ci poteva stare che il Toro si piazzasse in alto. D’altronde, il campionato è iniziato così, con molte sorprese… Pardon, il Toro non è una sorpresa, sia chiaro. Dopo la conquista dell’Europa e la scorsa stagione di livello assoluto, anche sul palcoscenico internazionale, più gli innesti mirati, la classifica è diretta conseguenza».

Toni e Pazzini in versione coppia-matador, oppure vederli in contemporanea è missione impossibile?

«Possono giocare insieme, mi piacerebbe, anche contro il Toro. Ma entrambi soffrono per degli acciacchi e poi ci sarà la settimana con tre partite… Di sicuro ci sarà spazio per tutti, allora».

Il capocannoniere resta punto di riferimento. Ha fermato il tempo?

«Per lui non passa. Parlavo con il mio staff e siamo giunti alle stesse considerazioni. Quest’anno è ancora meglio, più magro, più a posto. Acciacchi a parte, ovvio. I 22 gol? Si scatenò nel girone di ritorno. Con lui serve pazienza. Poi, ti fa dire: avevi ragione a puntare su Toni».

 Mandorlini sulla panchina del Verona dal 2010, Ventura su quella del Torino dal 2011: qualcosa non quadra, no?

«Siamo due anomalie del calcio italiano».

I Ferguson della serie A?

«Magari arrivassi a tanto…».

Quindi, in Italia si può durare a lungo.

«Non so di chi sia il merito. L’ambiente giusto per entrambi, io qui e lui là. Perché mi sembra che anche Giampiero sia un tutt’uno con la squadra e l’ambiente granata. Mi piacerebbe continuare questo percorso per un po’».

La parola magica è “progetto”?

«Finché arrivano i risultati. Ma dopo due partite che non vanno come devono può cambiare tutto. Noi tecnici lo sappiamo, abbiamo imparato a conviverci. Il gioco è questo».

Mandorlini di Ventura apprezza…

«L’idea che dà alla sua squadra. Si vede la sua ricerca, la cura dei particolari. Sei lì, guardi la partita, i suoi ragazzi giocare e dici: qua c’è la mano di Ventura. Non è più giovane? E allora? Esprime un calcio modernissimo».

Siccome lei lo deve imbrigliare, chi toglierebbe al Toro per fermarlo?

«Mmmm, direi Glik: il polacco è solido, è cresciuto tantissimo, diventando un leader. Anche in Nazionale adesso è una colonna. Deve moltissimo a Ventura, con lui è cresciuto in modo esponenziale in questi anni».

Ok, fuori il totem della difesa. Basta così?

«Ci sono i giovani: Baselli mi fa impazzire, e non da oggi».

 Fuori due. Ci fermiamo?

«No, perché alla fine, quello che proprio vorrei togliere dalla competizione è Quagliarella».

Eh già, segna sempre. Ma anche lei ha un gioiellino: Sala. Lo voleva il Toro prima di deviare su Zappacosta. E lo voleva anche il Napoli.

«La sua conferma ha reso tutti contenti, tecnico compreso. E’ un orgoglio per la società che fosse così ambito, ma la stessa società ha deciso di trattenerlo e il ragazzo ha sempre espresso la volontà di continuare il suo iter con il Verona. Qui sta migliorando e ora dovrà consolidare il suo status».

Contro il Toro schiererà il tridente?

«In linea di massima sì. Mi piace, anche se qualche volta abbiamo cambiato, e cambieremo, in base agli avversari. Poi, ho due centravanti, e stiamo provando nuove soluzioni. Però il mio marchio di fabbrica è quello, così come Ventura ha il 3-5-2».

 Recupera il diavolo islandese Hallfredsson?

«No. Lui vorrebbe esserci, per carità, ha tale carattere… Ma non è il caso. Sarebbe un rischio inutile».

Torniamo agli incroci con il Toro: Mandorlini è “un figlio del Filadelfia”.

«E ne sono orgoglioso. A quel periodo mi lega una marea di ricordi, mai scalfiti».

Riavvolgendo il nastro, a occhi chiusi, cosa le viene in mente?

«Gli allenamenti sui sassolini. Li sento ancora sotto i piedi. E poi la pioggia, il campo che si allagava, il rifugio in quella sorta di palestra dentro il campo. Sì, i sassolini, la ghiaia. E ancora la tribuna di legno, la prima squadra, un’atmosfera unica».

Si prevede che, finalmente, a ottobre sarà posata la prima pietra del nuovo Fila.

«Magari, sarebbe ora. E voglio presenziare pure io per testimoniare che è vero».

Anche Junior vuole essere invitato.

«Ma io lì ci sono cresciuto, dagli Allievi alla Primavera, fino ai grandi. Sì, il destino mi ha consegnato lo spirito del Fila che mi ha forgiato, dentro. Mi ha aiutato per tutta la carriera, una guida, una strada maestra. Mi ha dato il carattere, fondamentale per diventare grande. Tutto quello che ho fatto nel calcio è grazie a quelle origini».

Dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei.

«Un figlio del Filadelfia. La mia vita è iniziata lì. Devo tutto a quel luogo. E finché vivrò sarò grato al Toro e ai suoi uomini, chi ancora è in vita e chi ci ha lasciato, da Ussello a Vatta per citarne due, ma sono tanti...».

Mandorlini il tenero, verrebbe da dire.

«Sono un nostalgico. E il Toro è la mia fortuna».

Le piacerebbe un giorno allenarlo?

«Certo. A chi non piacerebbe… A Verona sto bene, qui ho seminato e raccolto, ho un contratto, ci sono le basi per lavorare e togliersi soddisfazioni. Ma un giorno, il figlio del Fila vorrebbe tornare a casa».

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