Grande Torino, un passato e tanto futuro

È il 4 maggio, migliaia di tifosi tornano sul colle dove 67 anni morirono gli invincibili
Grande Torino, un passato e tanto futuro

TORINO - Risuonerà di nuovo anche il nome di Renato Casalbore, nella voce di Glik, quando davanti alla lapide, dopo la messa, il capitano del Torino leggerà i nomi dei 31 caduti. Casalbore, il fondatore e direttore di Tuttosport, perì con i campioni del Grande Torino, il 4 maggio del 1949. La messa sarà celebrata dalle 17 in poi. Saranno alcune migliaia le persone sul colle.

Erano giovani e forti, se chiudiamo gli occhi ne sentiamo il respiro alle spalle, e ci indicano ancora una rotta. Sono gli Angeli di Superga: valori e non soltanto volti, insegnamenti e non solo vittorie, rispetto e non solo colore. Oggi è il 4 maggio e il Toro si moltiplica in un volano di richiami, per quella misteriosa legge che mescola l’amore con la morte e conduce a nuova vita. Accadde 67 anni fa. L’aereo del Grande Torino si schiantò contro il terrapieno della basilica di Superga, al rientro da un’amichevole a Lisbona con il Benfica.

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IL MONDO CHIAMAVA - Erano le cinque del pomeriggio, la pioggia imperversava su Torino, la nebbia abbassò le palpebre, la notte anticipò le lancette dell’orologio. Morirono tutti, giocatori, dirigenti, allenatori, giornalisti, equipaggio. In 31. E morì anche un’Italia: un popolo non solo di sognatori, ma anche di costruttori, nel 1949. Se ne andò una squadra unica, inimitabile, con i suoi record in corso, interrotti dal fato. A volo d’uccello: i cinque scudetti di fila, la prima accoppiata tricolore-Coppa Italia, i 10 giocatori titolari in una partita della nazionale, le vittorie per 10 a 0 in serie A, il primato di successi e di gol segnati in campionato, e via dicendo. Ma il Grande Torino, soprattutto, prese per mano tanta Italia, nel dopoguerra. Regalando a questo Paese, uscito devastato dalla dittatura e dalla guerra, un sorriso, una fonte di dignità, un motivo di riscatto, una speranza grande come il mondo. Ed era una squadra così forte, quella, che per l’appunto da tutto il mondo era chiamata: per tournée in Sud America piuttosto che in Europa, a mostrar meraviglia. Altro che Champions League: manco esisteva, negli Anni 40! Da una di quelle esibizioni nacque la morte, e per la stessa ragione la gloria diventò leggenda. Era il 1949, sì: e allora oltre al calcio quei giocatori lavoravano pure, chi aveva un negozio di vernici, chi un bar, e mica tutti possedevano l’automobile, anzi. E’ un pianeta che non esiste più, quello di quei tempi. E per via del progresso tecnologico che nell’ultimo mezzo secolo ha accelerato il tempo come mai, e della finanza cieca e della globalizzazione furiosa, non sembra neanche che siano passati 67 anni, ma 167.

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