Filadelfia, la voce del Cuore Toro: rinascono anche i tifosi granata

Il vecchio e glorioso stadio resterà sempre nella memoria. Ora, però, è il momento di vivere lì nuove esperienze da Toro
Filadelfia, la voce del Cuore Toro: rinascono anche i tifosi granata© Paolo Pavan

TORINO - Guardatelo, il Fila. Guardatelo, e annusatelo. Guardate il nuovo Filadelfia, e poi chiudete gli occhi. Prima ipotesi: avete più di 30 anni, quindi ricordate bene il vecchio campo, l’impianto del 1926 poi ingrandito, ristrutturato, e poi decadente, infine cadente, in alcune parti. Ci eravate stati, e anche tante volte, conoscevate ogni pertugio, ogni scalino, ogni pietra del cortile. Seconda ipotesi: avete poco più di 20 anni, o anche meno, e lo ricordate solo con la forza dei ricordi dei vostri parenti, dei vostri amici, di chi vi ha trasmesso il Toro. Lo avete visto in vecchi filmati storici, e nelle foto, ma inseguite ricordi riflessi, non dei vostri occhi. Va bene: immaginate lo stesso anche voi. Immaginiamo tutti il Fila, mentre stiamo davanti al nuovo Filadelfia. Chiudiamo gli occhi. Cominciamo a ripensare ai mattoni. I mattoni del Fila erano particolari. Mica i mattoni di oggi. Forati. Coi buchi in mezzo. No. I mattoni del Fila erano pieni. Pesantissimi. Solidissimi. Erano i mattoni di una volta. I mattoni pieni. Vuol dire qualcosa. Siccome stiamo tenendo gli occhi chiusi, possiamo sognare, dentro a quei mattoni. Possiamo sentirne l’odore. Come dell’erba. Ricordate l’odore dell’erba del Fila? E l’ingresso degli spogliatoi? Quello spazio angusto, con quei resti dell’aereo, lì. Quella ruota, per esempio. L’elica di Superga è dentro a tutti noi, in fondo. Proprio perché teniamo gli occhi chiusi. E ci aggiriamo meravigliosamente nel vecchio Fila. Scendiamo negli spogliatoi. Il corridoio. Gli stanzoni laterali. Oppure il tunnel. Gli scalini che portano al campo. Ma poi torniamo indietro in un istante. Adesso stiamo entrando negli uffici del settore giovanile. Dobbiamo stare attenti a non inciampare.

Mai visto così tante Coppe. Coppe dappertutto. In ogni scaffale possibile e immaginabile. Sopra a tutti i tavoli. Per terra. Tantissime Coppe anche per terra. E mica solo negli angoli. Mai visto tante Coppe così. Mai. Ce lo spiega l’avvocato Cozzolino, il motivo. Eccolo nei ricordi, ci sta salutando. Ci dice: «Il nostro vivaio è quello più vincente d’Italia, da decenni». Già. Le Coppe. Le Coppe dappertutto. E’ tutto così artigianale, qui... Ma poi usciamo ancora. Attraversiamo il cortile. Ci appoggiamo alle reti di recinzione del campo secondario. L’erba ha un altro odore, qui. E’ un fatto di emozioni, non di olfatto o semina. E’ che la vera erba del Fila è di là, sul campo principale. Allora passiamo vicino ai palloni giganteschi di pietra. Saliamo le scale della tribuna, oppure stiamo sotto, appoggiati a quell’altra, di recinzione. Quella che dà sul campo principale.

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Continuate a tenere gli occhi chiusi. Perché adesso uscirà qualcuno, dagli spogliatoi. O la prima squadra. O la Primavera, per giocare una partita ufficiale. Chissà. Dipende da che giorno è. Da che ora è. Ma non possiamo saperlo. Perché abbiamo gli occhi chiusi. E stiamo vivendo di ricordi lontani. O di ricordi vicini, ma dei ricordi lontani di altri. C’è un suono, è il rumore di una bandiera che sventola. Dalla collina, arriva il vento. C’è Superga, laggiù, oltre le gradinate di fronte, i rettilinei che furono. E nello sguardo c’è anche un nonno. Che ti prende per mano e ti porta al Fila. E prima di tutto, davanti alle vecchie biglietterie con la scritta antica su via Filadelfia, ti spiega proprio la storia dei mattoni. «Sai», ti dice, «i mattoni del Fila non sono come quelli di oggi, sono mattoni pieni». Ma tu non puoi capirlo fino in fondo, perché non puoi vedere dentro ai mattoni, il Fila è su, il Fila è vivo e vegeto, dentro si stanno allenando i campioni d’Italia del 1976, i mattoni sono ancora al loro posto, tutti al loro posto. Vedi l’esterno, dei mattoni. Li scoprirai dentro tanti anni dopo, quando cominceranno a demolirlo, il Fila. E una notte sarai andato lì, a raccoglierne un po’, per conservarli a casa, come un altarino. E li avrai presi in mano, quei mattoni, e ti accorgerai quanto pesano, e che per davvero sono pieni. Perché ne prenderai anche uno rotto dalle ruspe, e vedrai il cuore del mattone, e sentirai di nuovo la voce di tuo nonno, anche se tuo nonno non c’è più, è già da tanti anni volato in cielo. E allora, oggi, adesso, in questo preciso momento, davanti al Filadelfia del terzo millennio, ricostruito diverso ma nello stesso posto, in questa ora di emozioni che combattono tra di loro, tornerai a chiudere gli occhi ancora una volta, per rivedere i campioni, e tuo nonno, e quei pomeriggi al Fila, tanti e tanti e tanti anni fa.

E ogni granata che è stato al vecchio Filadelfia ha il suo nonno da riudire, una voce da risentire, un’immagine da riconsegnare al proprio cuore. Vicino alla palestra, laggiù, su via Spano. O in piedi sugli scalini delle gradinate. O seduto nella tribuna di legno. O appoggiato alle balaustre di richiamo Liberty. Ma adesso riapriamoli pure, gli occhi. Guardiamo il nuovo Filadelfia. Prendiamo per mano un bambino noi, stavolta. Entriamo con lui, nel nuovo Fila. E’ tutto così diverso, certo. Allora cominciamo a riempirlo di nuovi ricordi, il nostro Fila. 

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