Oltre i soldi: perché il Torino si deve tenere Belotti

Nessun alibi per Cairo: spetta alla società far rispettare i contratti e alimentare le ambizioni
Oltre i soldi: perché il Torino si deve tenere Belotti© www.imagephotoagency.it

TORINO - Non sta scritto da nessuna parte che Cairo debba lucrare su ogni calciatore che abbia incrementato la propria quotazione tecnica, e conseguentemente economica, giocando nel Toro. Il fatto che finora sia sempre stato così - da Darmian a Glik, da Cerci a Immobile, da Ogbonna a Zappacosta, da Maksimovic a Bruno Peres - non significa né che sia giusto né che sia inevitabile. Non lo è - o meglio: non lo sarebbe - nemmeno per Belotti. Anzi, a maggior ragione per Belotti. Per tutta una serie di ragioni, che ora andiamo a elencare. La prima, solo perché viene in mente subito, è la meno importante, almeno sul piano morale: il valore di mercato del Gallo, oggi, è clamorosamente inferiore a quello di un anno fa quando pure, in ogni caso, nessun pretendente più o meno convinto era riuscito ad avvicinare la cifra prevista dalla clausola di rescissione (100 milioni), valida peraltro soltanto per i club stranieri. Venderlo adesso, dunque, sarebbe un’operazione finanziariamente a perdere (rispetto alle aspettative della proprietà nell’estate scorsa, chiaro), perché gli aspiranti acquirenti avrebbero buon gioco a tirare sul prezzo, considerata l’imbarazzante evoluzione di Belotti in termini di gol e prestazioni.

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Dicevamo, però, che tale motivazione è quella che meno conta: perché ai tifosi granata, nell’interesse dei quali è scritto questo articolo, di quante plusvalenze abbia realizzato e messo in conto di realizzare ancora Cairo, nulla frega. Semmai, l’argomento li solletica giusto per ricordare che - in 13 anni con obiettivo gli scudetti del bilancio, di cui 4 in serie B - il miglior risultato del Toro sia stata una qualificazione all’Europa League poiché Ghirardi non aveva pagato l’Irpef per conto del Parma. E che, in ogni caso, solo una minima parte delle entrate figlie delle cessioni è stata poi reinvestita nell’acquisto di nuovi giocatori di conclamato valore, pari alle ambizioni (e frustrazioni) del popolo granata. Che non fa mai in tempo ad affezionarsi davvero a qualcuno, consapevole del destino (cioè la cessione, per «non tarpargli le ali») che prima o dopo attende i migliori della squadra.

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