Ora il Toro è più forte: effetto Walter Mazzarri

I giocatori si sono scoperti ancor più legati al tecnico dopo il ricovero in ospedale: affetto e unità di gruppo
Ora il Toro è più forte: effetto Walter Mazzarri© Marco Canoniero

TORINO - Chi ha potuto vivere da vicino la due giorni di Walter Mazzarri al Filadelfia, il ritorno del tecnico nella sua casa sportiva, al fianco dei suoi ragazzi, per ricominciare a fare quello che ha sempre fatto per vent’anni, racconta di aver colto grumi e semi nuovi. Nell’aria, non tra i fili d’erba. Negli occhi, nello spirito. Come se l’epifania del tecnico avesse destato nel gruppo sentimenti più potenti del solito e motivazioni lucidate. Non è facile tradurre con parole ciò che narra l’emozione, ciò che può ballare nei cuori dei giocatori. «Siamo un gruppo ancor più forte di prima», ci dicono. Laddove per “forte” non s’intende, banalmente, la cifra tecnica di un calciatore, l’ampiezza di un cross a effetto, l’arabesco di un dribbling. I piedi di De Silvestri non sono diventati morbidi nel tocco come quelli di Iago, tanto per dire, grazie a un colpo di bacchetta magica. Un prodigio, un incanto. I piedi restano piedi. Ma sono le menti ad aver assorbito, decodificato e tradotto in un rinnovato complesso di valori il terremoto dell’ultima settimana. Il malore del tecnico, venerdì scorso, sul finire dell’allenamento. La corsa all’ospedale Le Molinette di Torino. I nuovi controlli svolti sabato mattina in una clinica privata torinese. E poi l’ultimo blitz di Mazzarri al campo, nel pomeriggio, per salutare i giocatori, dettare qualche raccomandazione ancora. E seguire da toro seduto l’allenamento, diretto sul prato dal suo vice, Frustalupi. Un leone in gabbia, era quel Mazzarri. Un essere umano preoccupato per la propria salute, comprensibilmente. Un allenatore chiuso in un recinto. Impedito. Bloccato. Carcerato, nell’attesa di chissà quanti esami da compiere in ospedale: e di chissà quali esiti, quali referti, quali conseguenze. I giocatori lo avevano accolto così: preoccupati anche loro, scossi, turbati, pur se il tecnico si affrettava a ripetere a tutti che il peggio era passato, che stava già molto meglio, che nel giro di poco tempo tutto si sarebbe risolto. Sì, certo. Ma il tempo di domani doveva ancora svolgere la sua matassa: il ricovero in ospedale a Milano, da domenica, in una clinica privata consigliata da Cairo e dal dottor Tavana. Là dove Mazzarri avrebbe poi seguito in tv la partita del Toro a Cagliari, cercando di imprecare il meno possibile. E continuando a far partire una chiamata dopo l’altra ai suoi collaboratori più stretti. Non solo le telefonate con Cairo, insomma.

E i giocatori, intanto? Sempre lì, ora in Sardegna, ora di nuovo al Fila con Frustalupi, con Santoro, con tutti i vari collaboratori di Mazzarri. Sempre lì a lavorare, come se nulla fosse successo, come se Mazzarri si fosse beccato solo uno stupidissimo raffreddore. Un giorno a letto, e via. Ma sapevano bene tutti che non era così. Di conseguenza quando hanno potuto riabbracciarlo, l’altro ieri, hanno chiuso il libro del grande spavento e nel sollievo hanno colto per l’allenatore una stima rinnovata, persino superiore. Un affetto che non credevano di provare così chiaramente.

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