ROMA - Jules Bianchi è il primo pilota di Formula Uno che ha perso la vita in seguito ad un incidente, ventuno anni dopo la tragedia di Ayrton Senna a Imola. Il venticinquenne francese ha lottato per nove mesi e 14 giorni contro le conseguenze dell’ematoma al cervello causato dallo schianto contro il trattore gru in azione sulla pista di Suzuka il 5 ottobre 2014, durante il Gran Premio del Giappone, per rimuovere la Sauber di Adrian Sutil, uscito di pista nel giro precedente e nello stesso punto.
La morte di Bianchi poteva e doveva essere evitata. Felipe Massa, grande amico di Jules, fu tra i primi a denunciare la scarsa sicurezza del circuito giapponese: “La gara è iniziata troppo presto perché eravamo ancora dietro la safety car ed è finita troppo tardi. Urlavo da cinque giri che non si vedeva più nulla, ma non sono stato ascoltato”.
In realtà, il Gran Premio del Giappone non doveva essere disputato a causa del tifone Phanfone, il cui arrivo da giorni era stato previsto da giorni. Ma i fortissimi interessi commerciali e televisivi avevano prevalso su ogni altra considerazione e anche l’ipotesi di anticipare la corsa al sabato o, almeno, di qualche ora rispetto alla partenza, era stata scartata.
La corsa era partita dietro la safety car: nonostante il diluvio avesse progressivamente azzerato la visibilità, non venne interrotta. I giudici di gara sventolarono la doppia bandiera gialla che avvisa i piloti perché rallentino ed eventualmente si fermino. La via di fuga fu ostruita dal trattore contro la quale la Marussia di Bianchi andò a sbattere, con un impatto tremendo. La safety car doveva entrare in pista subito dopo che la Sauber di Sutil era finita fuori pista e si ricorse alla gru per rimuoverla. Per non dire della bandiera verde sventolata da uno steward, immortalato nel video dell’incidente, indicante cessato pericolo per la curva successiva.
Bianchi è morto. Nessuno sinora ha pagato. Qualcuno avrà rimorsi per tutta la vita.