Vera, la ribelle che vive con noi

Armando Fico racconta la ribellione della ginnasta cecoslovacca Caslavka all'imperialismo sovietico sul finire degli Anni 60
Vera, la ribelle che vive con noi

TORINO - Quando viene raccontata l’Olimpiade di Città del Messico in un gesto tutti pensano ai pugni chiusi alzati al cielo da Tommie Smith e John Carlos, con accanto Peter Norman. Il 1968 è un anno di gesti destinati a passare alla storia anche nello sport e se lo volgiamo al femminile il nome da ricordare è quello di Vera Caslavska. Il capo chino di fronte alla bandiera e all’inno dell’Unione Sovietica: così la cecoslovacca che aveva dominato le prove della ginnastica - aggiudicandosi la medaglia d’oro nel concorso individuale oltre che nelle parallele, nel volteggio e nel corpo libero - diede forma alla propria protesta contro i soprusi di una giuria asservita e contro la deriva autoritaria del proprio Paese.

Armando Fico nel raccontare la vita di Vera non si limita a Città del Messico: “Vera Caslavka, campionessa dissidente” (Battaglia Edizioni, 192 pagine, 15 euro) è una biografia dettagliata che parte dall’infanzia della terza figlia di fila di un padre portiere di calcio che sognava finalmente un erede maschio. L’approdo nel mondo della ginnastica passa attraverso l’incontro propiziato dalla madre con Eva Bosakova, argento olimpico ai Giochi di Melbourne e quattro anni dopo a Roma sarà una giovanissima Vera a fare il proprio esordio a cinque cerchi. Prima Olimpiade e primo podio, anche se è una medaglia di squadra. A livello individuale Vera paga la tensione e il caldo romano, perché in quell’edizione dei Giochi le prove della ginnastica sono all’aperto, in un contesto unico e inimitabile come le Terme di Caracalla. Lì si squagliano le ambizioni della 18enne Vera, mentre la regina incontrastata della ginnastica è Larisa Latynina.

A Tokyo quattro anni dopo Latynina è ancora l’avversaria da battere ma le gerarchie sono ribaltate con Vera capace di prendersi tre medaglie individuali. Al rientro in patria Caslavska subisce l’ingerenza del partito comunista che la costringe a cambiare tecnico, lasciando Vladimir Prorok. Questo però è ancora niente rispetto a quello che l’attende nel percorso di avvicinamento a Città del Messico 1968. L’adesione al manifesto delle duemila parole la costringe a scappare e a darsi alla clandestinità nei giorni dell’invasione sovietica che spegne la Primavera di Praga. «Intanto, per non regalare altro tempo alle avversarie, Vera aveva iniziato ad allenarsi nei boschi proprio come faceva da ragazzina nella campagna di Cernosice - racconta Fico - si appendeva ai rami degli alberi per simulare esercizi alle parallele, camminava in equilibrio sui tronchi come se fosse su una trave, e infine passava ore a spalare carbone per procurarsi i calli alle mani. Superata la disperazione iniziale, Vera si era messa in testa che alle Olimpiadi in Messico lei ci sarebbe andata: voleva onorare la sua fama di ginnasta internazionale e dare un segno di speranza alla gente oppressa di Praga davanti al mondo intero». Come andò a finire in Messico è Storia.

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