Autobianchi A112: piccola, grintosa e fashion  

Nata per contrastare l'ingresso nel mercato italiano delle "piccole" di lusso, la A112, grazie al talento di Giacosa e Abarth è diventata un punto fermo nella storia dell'auto italiana
Autobianchi A112: piccola, grintosa e fashion  

Nel 1969, al Salone dell’auto di Torino viene presentata la Autobianchi A 112, auto di piccole dimensioni, a trazione anteriore (una rarità nel panorama delle auto prodotte in Italia in quegli anni), destinata a rivoluzionare il mondo delle “piccole” perché, al contrario delle auto che l’hanno preceduta come la Fiat 600 e la Fiat 850,  ha come target un’utenza più abbiente e quindi: linee aggressive, motore brillante, interni di pregio e una versione, Abarth, che dirà la sua nel mondo del rally, in uscita di lì a poco. Per capire come si arriva alla A112, o progetto X1/2, occorre prima fare un piccolo passo indietro.

Nel 1969 gli Stati Uniti sono in piena guerra del Vietnam, che si concluderà con un completo fallimento 4 anni più tardi. L’URSS lancia le due sonde gemelle Venera 5 e Venera 6, che chiariranno molti dubbi sulla composizione dell’aggressiva atmosfera di Venere, prima di toccare il suolo del pianeta (ma sul lato buio). I Rolling Stones perdono Brian Jones per overdose. Alcuni membri di una setta, con a capo Charles Manson, compiono la strage di Los Angeles in cui perderà la vita, con altre quattro persone, l’attrice Sharon Tate, al nono mese di gravidanza. Autori e mandante verranno arrestati (il movente: Manson era stato scartato a un provino come cantante da uno degli assassinati). A Bethel, si tiene il festival di Woodstock e a ottobre, trasmettendo la parola “Login”, viene testata “ARPANET” la rete che avrebbe connesso i computer americani in caso di guerra e che avrebbe dato poi origine a quello che oggi conosciamo come Intenet. Ma il 1969 sarà ricordato per la Missione Apollo: tutto il mondo scruta il cielo sognando la conquista della luna, raccontata in Italia da TIto Stagno, in una interminabile diretta in una afosissima notte di luglio, terminata con l’allunaggio dell’Apollo 11 e la celebre frase “un piccolo passo per l’uomo e un grande passo per l’umanità”.

Anno pieno di fermenti, che in Italia si chiuderà con le bombe di Roma e Milano, l’arresto di Pietro Valpreda e la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, “caduto” da un balcone del quarto piano della questura, dove era in corso il suo interrogatorio. Un anno che dal punto di vista automobilistico segna un aumento consistente delle auto di importazione a danno della quota di mercato detenuta dai produttori italiani, in particolar modo da Fiat (egemone dall’inizio del decennio). Inoltre la Innocenti, su licenza Austin Morris, nel 1969 produce in Italia la Mini che, lanciata in Inghilterra e apprezzata dal pubblico femminile, diventerà presto un’icona di stile. L’auto non più come un bisogno, o come mezzo per esprimere lusso e ricchezza, ma anche come affermazione di sé, del proprio stile e della propria personalità. Fiat quindi capisce che deve rivolgersi alla nuova borghesia italiana con un prodotto nuovo, prima di perdere definitivamente questo mercato a vantaggio delle case straniere. E lancia un nuovo progetto, chiamato X1/2.

Si decide di affidare il progetto a Dante Giacosa, che ha fatto e farà la fortuna di Fiat per più di 35 anni e di ma di far produrre la nuova auto ad Autobianchi (società nata dalla volontà di Ferruccio Quintavalle, Alberto Pirelli, Gianni Agnelli e Vittorio la Valletta), perché in Fiat esiste ancora il veto sulla trazione anteriore imposto da Giovanni Agnelli quasi 30 anni prima. Le linee guida sono: un aspetto dinamico, piccole dimensioni, facilità di guida, consumi ridotti.  Dante Giacosa per la Autobianchi ha già prodotto la Primula e la A111, entrambe a trazione anteriore e accetta l’incarico ben sapendo che l’auto poi sarà un vero e proprio laboratorio per la progettazione e la produzione della Fiat 127 (progetto x1/4).

La prima serie della vettura entra in produzione nel 1969, con un motore da 903 cc, accoppiato a un cambio a 4 rapporti, che eroga una potenza di 44 CV (ma, viste le prestazioni, in molti scommettevano fossero di più) per una velocità di 140 chilometri orari. Gli interni sono realizzati in skai, i sedili senza poggiatesta e i freni anteriori a disco, quelli posteriori a tamburo, ma senza servofreno (la frenata sarà sempre il tallone d’Achille della A112). Due anni più tardi la gamma si arricchisce dell’allestimento E, con finiture di pregio, tetto con colore a contrasto rispetto il resto della carrozzeria e dotazione interna più ricca, e arriva, finalmente, la versione A112 Abarth. E anche qui bisogna fare un piccolo passo indietro. Nel 1971 la Fiat ha appena acquistato la Abarth & C. S.p.A. una casa automobilistica italiana, fondata da Karl Albert Abarth (italo austriaco che dopo la seconda guerra mondiale sceglierà la cittadinanza italiana e il nome di Carlo) e da Guido Scagliarini.

Carlo Abarth ha iniziato la sua attività nel mondo delle corse nella Cistalia, casa automobilistica fondata da Piero Dusio (pilota con pochi successi e imprenditore con il pallino delle corse) e Piero Taruiffi, pilota e progettista nel settore delle corse, campione e recordman, ideatore tra gli altri del TARF, un veicolo da record mosso da un motore 500cc Gilera, in grado di superare i 200 km/h. A causa del fallimento della Cistalia nel 1963 (con Piero Dusio che lancia nel Po l’albero motore di una Cistalia Grand Prix) Abarth, che vantava forti crediti nei confronti dell’azienda, fu pagato con auto, ricambi e parti motore della casa Torinese. Fu l’inizio ella sua fortuna. Abarth iniziò a modificare le auto ricevute e a iscriverle alle principali competizioni nazionali e internazionali (vincendole) e a pubblicizzare così i prodotti della neonata Abarth & C. S.p.A., in particolar modo le marmitte e i kit di elaborazione, come quello per la Fiat 600, che chiunque poteva acquistare e far poi montare al meccanico di fiducia. Un’idea nuova, di un uomo che non si era mai spaventato di nulla, neanche quando correva in moto e si era letteralmente giocato due delle sue innumerevoli vite, in altrettanti incidenti. O come quando a 57 anni, aveva perso 30 chili per riuscire a entrare in un’auto da corsa e battere un record velocità all’Autodromo nazionale di Monza, riuscendo nell’impresa.

La A112 per leggerezza, potenza, maneggevolezza era predestinata ad avere una versione Abarth, in particolar modo dopo che i vertici di casa Fiat erano stati ingolositi da un modello della A112 preparato per volere di Carlo Abarth nel 1970, equipaggiato con un motore radiale (dalla difficile messa a punto) da 107 CV e capace di raggiungere i 180 km/h. L’idea di Vittorio la Valletta (più che un presidente, una pietra miliare della FIAT) fu quella di acquisire le conoscenze e il marchio di Abarth per creare una versione sportiva di A112, andando a contrastare il successo di mercato della grintosa Mini Cooper. In realtà nessuno immaginava che si stessero ponendo le basi per la realizzazione di un’auto che, al di là del diventare un’icona di stile con il suo colore rosso e il cofano nero opaco, sarebbe stata negli anni a venire una velenosissima competitor nelle gare dei campionati di rally nazionali e internazionali (e addirittura monomarca).

Dal 1971 i restyling del modello “normale” della A112 saranno accompagnati anche da restyling della versione Abarth e, fino al 1985, si conteranno ben 7 versioni per un totale di circa 1.300.000 esemplari venduti. Un successo commerciale dovuto a un’auto innovativa, capace di appassionare alla guida, accessibile anche come seconda auto e grintosissima. L’A112 ha permesso alla Fiat di presidiare un’area di mercato che altrimenti sarebbe stata occupata dalla Mini prodotta in Italia (e migliorata) da Innocenti, creando allo stesso tempo un’icona di stile. Un progetto che vede coinvolti grandi uomini, come Vittorio la Valletta, Dante Giacosa, Carlo Abarth e che ne sfiora altri come Edoardo Bianchi, Ferruccio Quintavalle e Alberto Pirelli e che ha permesso agli italiani di riconoscersi in un made in Italy di successo, superiore per tecnologia e design a quanto proveniva da oltre frontiera.          

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