Il Consiglio di Stato mura il risarcimento a Cicolari. Vince la Fipav

Cancellata la decisione del Tar del Lazio e aveva imputato alla federvolley di pagare 208.000 euro di risarcimento all'atleta
Il Consiglio di Stato mura il risarcimento a Cicolari. Vince la Fipav© Fivb

ROMA, 22 giugno - No al risarcimento danni per la giocatrice ed azzurra di beach volley Greta Cicolari, sospesa per aver insultato un tecnico federale. Lo ha deciso oggi il Consiglio di Stato che ha accolto l’appello della Fipav, la Federazione Italiana Pallavolo, coadiuvata dal Coni, contro la sentenza del Tar Lazio che aveva invece dato ragione alla Cicolari concedendole un risarcimento di oltre 200 mila euro per essere stata ingiustamente sanzionata dalla Federazione.

TWEET AMARI  La vicenda risale agli anni scorsi quando la beacher venne sospesa da ogni attività per sei mesi: una sanzione irrogata dagli organi di giustizia federale per avere, nel 2013, “aggredito verbalmente e pubblicamente il proprio tecnico federale e per aver twittato frasi offensive e ingiuriose nei confronti del direttore tecnico delle squadre nazionali femminili” (Cicolari definì il c.t. Lissandro Carvalho “caprone nero”).

RISARCIMENTO TAR - Il Tar, l’anno scorso, aveva dato ragione alla giocatrice perché gli organi della giustizia sportiva avrebbero violato in suo danno i principi processuali sull’acquisizione e valutazione delle prove. La pallavolista aveva così ottenuto dal Tar, nel presupposto dell’illegittimità di quella sanzione, un risarcimento di 208.000 euro, per danni da «riduzione peggiorativa e risoluzione di precedenti contratti»«da perdita di chance per interruzione di trattative per la stipulazione di futuri contratti di sponsorizzazione» e «da perdita di chance per mancata percezione di premi in tornei internazionali e da pregiudizio all’immagine».

IL CONSIGLIO MURA - Per il Consiglio di Stato, invece, il Tar non solo ha valutato male le prove, ma soprattutto ha concesso un risarcimento che non poteva essere riconosciuto. Infatti, considerato anche che non si trattava di un’atleta professionista, «le ragioni di dignità della persona umana – per cui dagli albori lo sport è oggetto di interventi e di investimenti pubblici, riprese dallo Statuto del Coni – fanno esulare dall’ordinamento sportivo, e dal sistema di giustizia che lo riguarda, la tutela di interessi economici personali inerenti a contratti individuali con terzi, estranei a quell’ordinamento e all’attività sportiva, finalizzati a trarre un lucro personale dalla notorietà raggiunta grazie all’ordine sportivo».

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