Non arrendersi mai, questione di vocazione

Cosa significa essere ricercatori? Lo spiegano la dottoranda Giulia Resmini, 27 anni di Piacenza, del laboratorio di ricerca GSD e Marco Piccoli, 32 annidi Varese, del Policlinico San Donato
Non arrendersi mai, questione di vocazione

Cosa è per te la ricerca?

Giulia: «È una scelta di vita. Da un lato è un lavoro molto duro e, a volte, anche frustrante, perché ti confronti ogni giorno con il fallimento; dall’altro è appagante sentirsi utili per qualcuno. Se devo riassumere, la ricerca è una scelta di vita e fare qualcosa per gli altri».

Marco: «Prima di essere un lavoro, è una vocazione. Non è facile, soprattutto in Italia esistono una serie di difficoltà che spesso non dipendono da noi. Fare questo lavoro penso sia qualcosa che va oltre la parola “lavoro”, ma rappresenta una sorta di missione».

Di cosa ti occupi?

Giulia: «Mi occupo di differenziamento muscolare. Stiamo cercando di capire che cosa succede al muscolo quando si toglie l’ossigeno: vogliamo vedere se, in una condizione di ipossia, si attivano o si spengono determinati geni o comunque quali meccanismi molecolari siano coinvolti. L’idea è di traslarlo alla situazione dell’infarto del miocardio, cioè quando nel cuore c’è un infarto e manca ossigeno. Vorremmo capire se esiste un meccanismo che possa migliorare la rigenerazione e il differenziamento muscolare».

Marco: «Mi occupo di rigenerazione tissutale al Policlinico San Donato, utilizzando un approccio di tipo chimico, che sfrutta l’impiego di piccole molecole, per cercare di promuovere il differenziamento delle cellule staminali adulte verso un fenotipo cardiaco. Inoltre, seguo un ramo delle nostre ricerche che cerca di comprendere i meccanismi di risposta allo stress delle cellule cardiache per rendere il cuore più resistente e capace di opporsi alle conseguenze dannose dovute alle patologie che portano al fallimento dell’organo».

Come impiegheresti un finanziamento?

Giulia: «Quello che manca nel nostro laboratorio è la possibilità di lavorare su modelli in vivo. Penso che sarebbe molto utile, in termini di progresso scientifico, poter disporre di strumenti all’avanguardia e di uno stabulario per lavorare con modelli animali e dare un valore aggiunto alla ricerca in vitro. Penso sarebbe un buon modo per impiegare un finanziamento, essendo cose che riguardano spazi e risorse economiche notevoli».

Marco: «Purtroppo la ricerca è costosa, i materiali sono costosi, i reagenti sono costosi quindi i finanziamenti sono il mezzo per poter portare avanti i progetti e le intuizioni nella ricerca di soluzioni per chi ne ha bisogno. I finanziatori o le persone che credano nel progetto COR e decidano di finanziarci e di darci una mano, ci fornirebbero un fondamentale strumento per “fare un passo in più”, per sviluppare nuove idee e nuovi progetti».

Perché un finanziatore dovrebbe investire su di te?

Giulia: «Perché dovrebbero investire di più sui giovani. E non lo fanno mai. Io, qui al laboratorio di Ricerca GSD, sono tra le più piccole visto che sono dottoranda e ho ancora molta strada da fare. Nessuno di noi fa questo lavoro per lo stipendio, però penso comunque che oltre ad avere un tetto sulla testa, sia necessario anche gratificare le persone: è ovvio che non è solo per necessità, ma deve proprio servire come stimolo».

Marco: «Se una persona o delle persone volessero finanziarmi troverebbero una persona molto motivata in quello che fa e che spera di poter essere utile a qualcuno grazie al suo lavoro e al suo impegno, insieme ai propri colleghi. Avere un finanziamento, un sostegno economico, potrebbe essere fondamentale per portare avanti una ricerca che possa dare importanti risultati e aiutare persone che necessitano di questi risultati».

Un tuo motto. Ce la devo fare perché…

Giulia: «Ce la devo fare perché, secondo me, non bisogna mai arrendersi di fronte alle difficoltà: non puoi sapere quanto sei vicino al risultato. Almeno nel nostro lavoro è così, visto che è tutto un punto di domanda e non puoi veramente sapere se ti manca “tanto così” per arrivare alla soluzione del problema. Per questo motivo, se dovessi sintetizzare il mio motto in tre parole, sicuramente direi: “Non arrendersi mai”».

Marco: «Quando vivo momenti di difficoltà mi ripeto che io e le persone che mi stanno accanto abbiamo fatto sacrifici per arrivare a questo punto, e dobbiamo ricordarci che dal nostro lavoro potrebbe nascere qualcosa d’importante per qualcuno che ha bisogno di noi, che sta peggio di noi. Trovare le risposte è una soddisfazione personale ma quelle risposte sono più importanti per chi le aspetta o ha la speranza di riceverle da noi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...