Fuoriclasse al traguardo a ogni costo

Senna vinse in Brasile nonostante insopportabili crampi
Fuoriclasse al traguardo a ogni costo© ANSA

La sofferenza che gli atleti provano nel tentativo di raggiungere la vittoria è quasi un ingrediente speciale da aggiungere alle storie sportive per farle diventare uniche. E la cosa più incredibile è che, anche in caso di sconfitta, quella stessa sofferenza è in grado di trasformare delusioni cocenti in pagine indimenticabili in cui lo spirito intrinseco dello sport riesce a emergere con prepotenza.

Circa 35 anni fa, a San Paolo, a 350 chilometri da Rio de Janeiro che adesso ospita le Olimpiadi, l’indimenticato Ayrton Senna fu protagonista di una delle più entusiasmanti vicende legate al mondo dei motori. Il pilota brasiliano aveva già vinto due titoli mondiali di Formula 1, era l’uomo da battere ma per una serie di coincidenze sfortunate non era mai riuscito a transitare per primo sotto la bandiera a scacchi in Brasile: tra secondi posti e ritiri, a Interlagos per lui era andata sempre male. Nel marzo del 1991 ci provò di nuovo. Si presentò partendo dalla pole position ma il circuito sembrava davvero stregato per lui e dopo aver preso il largo in testa alla gara, il cambio si ruppe iniziò a perdere una a una tutte le marce. Così, a circa 20 giri dal termine, a Senna era rimasta solo la sesta marcia per chiudere il Gran Premio. La Legge di Murphy si abbatté su Ayrton: iniziò anche a piovere. Il brasiliano perdeva oltre cinque secondi a giro dai suoi inseguitori e faticava a gestire il cambio rotto, avvertendo crampi insopportabili al braccio destro per lo sforzo muscolare fatto nel gestirlo. Ma un fuoriclasse si vede nei momenti di difficoltà e i tentativi del nostro Patrese di riprenderlo fallirono al cospetto del più grande pilota di Formula 1. Il suo urlo di gioia rubato dall’interfono con il box è diventato storia di questo sport e le sue mani tremolanti per colpa dei crampi, che gli impedivano di tenere fermo il trofeo durante la premiazione, la fotografia più bella di un campione unico.

C’è chi vince nonostante tutto, ma anche chi riesce a trasformare una sconfitta in una vittoria. Nel 1992, alle Olimpiadi di Barcellona, il britannico Derek Redmond era il grande favorito nei 400 metri piani dopo aver trionfato ai Mondiali e agli Europei precedenti. Durante le semifinali, pochi metri dopo la partenza, si accasciò sulla pista vittima di uno strappo muscolare al quadricipite femorale. Nonostante avesse ormai perso la gara, rifiutò l’intervento del massaggiatore e si rialzò in piedi. Saltellando su una gamba sola – quella sana – con una smorfia di dolore iniziò a percorrere i 250 metri che lo separavano dal traguardo. Nel suo stoico tentativo di concludere comunque la gara, un uomo in calzoncini e cappello scavalcò dalla tribuna dello stadio. La sicurezza provò a bloccarlo ma i gesti delle sue mani erano eloquenti: voleva aiutare Redmond ad arrivare al traguardo. Lo stadio Lluís Companys andò in delirio per la scena, più tardi caricata ancor di più dal fatto che quell’uomo fosse il padre. a rio de janeiro I Giochi olimpici sono il palcoscenico ideale per assistere a imprese sportive epiche: davanti a una sfida dura, quasi impossibile da sostenere, ci sarà sempre un atleta disposto a dare più di ciò che ha per alzare le mani al traguardo, per una medaglia, per sé, per tutti gli amanti dello sport.

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