Golf, un salto nel futuro

Onde cerebrali, radar, fasci ottici: la preparazione dei campioni del green è da fantascienza
Golf, un salto nel futuro© PA

l maestro Miyagi sul tatami con Daniel Larusso, Mickey Goldmill sul ring con Rocky, Tony D’Amato sul campo da football insieme agli Sharks: il cinema hollywoodiano ci ha regalato allenatori carismatici in grado di portare i propri atleti a completare imprese titaniche. Ma è finzione, e per quanto tutti ricordiamo con passione gli insegnamenti di chi ci ha formato nello sport - tra parole di incoraggiamento e durezze a fin di bene - la realtà è spesso meno romantica di quella raccontata sul grande schermo. A meno che, invece di trovarci in un film di Oliver Stone o Avildsen, ci si trovi in qualche adattamento liberamente ispirato a un racconto di Asimov o Dick.

Anche il golf ha avuto al cinema i suoi guru fatti di maieutica per il green. Gli aneddoti di Bagger Vance/Will Smith sono una base – totale fiction – dalla quale partire per arrivare alla rivoluzione che ormai sta caratterizzando la disciplina. In quella finzione, c’era anche un po’ di realtà con la presenza di Walter Hagen e Bobby Jones. E proprio quest’ultimo, uno dei fondatori del Master di Augusta e unico giocatore ad aver completato un Grande Slam (seppur non nella forma attuale), aveva capito tutto: il buon golf si gioca in un campo di 14 centimetri, nello spazio tra due orecchie.

Da lì, si è finiti lontanissimo. «In campo l’aspetto mentale conta tantissimo - spiega Patrizio Daveri, maestro Pgai al Circolo Golf San Siro e grande conoscitore dei nuovi metodi di training – Prendiamo come riferimento Jason Day, numero uno al mondo, che basa il proprio allenamento sulle neuroscienze: sei ore sul campo, quattro sono dedicate al green e al gioco corto per lavorare su visualizzazione e concentrazione ». Il pensiero di Bobby Jones sembra resistere al progresso, nonostante siano passati quasi 90 anni.

Ma l’applicazione è da romanzo sci-fi: «Questo aspetto ha portato l’allenamento a un nuovo livello. Tra poco, la nuova frontiera sarà rappresentata da tecnologie come il Focus Band. È una fascia che si indossa in testa e lavora sul concetto di neurofeedback: ha tre sensori che registrano l'attività cerebrale e permettono di autoregolare il livello delle emozioni. Inoltre aiuta ad allenare il quiet eye, la capacità di mantenere la visualizzazione dell'obiettivo».

La tecnologia al servizio del golf ha una storia che parte da lontano: «Abbiamo iniziato negli anni Ottanta e Novanta con l’analisi video, per poi arrivare alla prima evoluzione con le videocamere ad alta velocità per ottenere i super slow motion, presenti anche su Trackman e FlightScope». Proprio quest’ultima è una tecnologia che il maestro Daveri conosce bene e che utilizza durante le sue lezioni: «Il launch monitor emette onde radar che vengono attraversate cambi di frequenza tracciandone i movimenti – spiega – sfruttando lo stesso tracking dell’Hawk Eye, occhio di falco del tennis.

È un sistema che veniva utilizzato nella balistica e che, a metà degli anni duemila, con l'introduzione del D-Plane, ha rivoluzionato il modo di insegnare golf, sfatando qualche mito tecnico e sta influenzando il modo in cui il bastone viene rilasciato sulla palla». Daveri prosegue la sua analisi storica della tecnologia nel training: «Nello stesso periodo, in parallelo si è sviluppata l’analisi biomeccanica, che cattura la sequenza dei movimenti del giocatore usando gli stessi sensori che vengono utilizzati per costruire i videogiochi, indicando così la postura.

Il K-Vest 3D ne è stato il capofila e il dottor Kwon ancora il massimo esperto». Chi ha visto su Twitter il video di Tiger Woods alle prese con un allenamento indoor dopo l’intervento alla schiena, probabilmente avrà notato una pedana sotto i suoi piedi: «È una Force Plate – spiega Daveri – una tavola simile, come concetto, a quella utilizzata dalla Wii. Fornisce un’analisi delle forze applicate al terreno, cioè pressione e direzione, oltre allo spostamento del baricentro. C’è anche una sorella minore, la Balance Plate, che misura esclusivamente la pressione a terra. Naturalmente, come abbiamo visto per Tiger Woods, possono essere utilizzate outdoor e indoor». Arrivando ai nostri giorni, insieme all’applicazione delle neuroscienze, il futuro del golf è un sistema completo ad altissima definizione: «Parliamo di Gears, una tecnologia indoor che si basa sul motion-capture. Grazie a un tracking ottico con otto videocamere ad alta velocità e 32 sensori, costruisce un’analisi 3D del giocatore e del bastone, sezionandola in ogni minima parte. Quindi, ad esempio, si possono vedere i movimenti del polso al millimetro». Anche in Italia l’eccellenza dell’insegnamento del golf sembra avere un futuro indoor: «Uno dei migliori circoli è il Golf della Montecchia, a Padova, certamente ai livelli delle migliori academy americane. Il suo performance center è invidiabile». Bene la tecnologia al servizio delle prestazioni sportive, ma attenzione ai rischi di mettere tutto nelle mani di una macchina: «È ancora in fase sperimentale ma questa eventualità c’è con il RoboGolfPro – ammette Daveri – un vero e proprio robot che aiuta i movimenti del bastone e quasi si sostituisce al maestro». Con l’enfasi su “quasi”. La classe dei maestri di golf apprezzerà

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