Marcianò e il surf estremo: “Ho cavalcato un palazzo di 6 piani”

Invitato in Portogallo da McNamara, leggenda della specialità, il romano ha stabilito il primato italiano su un’onda di 18 metri
Marcianò e il surf estremo: “Ho cavalcato un palazzo di 6 piani”

Un’onda di 18 metri può cambiare la vita? Chiedere a Alessandro Marcianò per credere. Il 23 dicembre scorso a Nazarè (località del Portogallo dove si trovano le “mareggiate” più alte del mondo), il 44enne surfista romano è entrato nella storia per essere stato il primo italiano a cavalcare un’onda gigantesca: 18 metri, appunto. Un palazzo di sei piani.

Ma andiamo per ordine.

UNA VITA PER IL SURF - Marcianò ha iniziato come tanti, seguendo a 14 anni le orme del padre appassionato di windsurf e assiduo praticante sulle spiagge del litorale laziale. Santa Marinella, per l’esattezza, dove Alessandro si è trasferito 10 anni fa dal quartiere Prati per impegnarsi a tempo pieno con le “onde”.

“Dal surf tradizionale sono passato in poco tempo al big wave surfing, la specialità delle onde “grosse” e poi al tow-in - spiega Marcianò, in occasione di una visita in redazione - Differenze? In quest’ultima, invece che spingere con le braccia per entrare nell’onda c’è bisogno del traino di una moto d’acqua, perché, con onde di questa portata, c’è poco tempo per farsi trovare pronti. In più le tavole che utilizziamo sono più pesanti rispetto a quelle tradizionali perché devono tenere la grande potenza dell’acqua e “tagliarla” mantenendosi più o meno stabili”.

Cos’è successo il 23 dicembre del 2015?

“Sono stato invitato da Garrett McNamara (recordman mondiale con 23,77 mt) ad un nuovo evento di surf estremo, il Red Chargers di Nazarè. Ero l’unico italiano presente e lui mi ha voluto nel suo team. La mareggiata del 23 dicembre ha segnato la mia carriera, perché ho cavalcato un’onda di 18 metri dopo essere stato lanciato proprio da Garrett. Ho passato un gran bel Natale...".

Un minuto di follia e di adrenalina…

“In realtà sono stati solo quindici secondi ma di certo i più intensi della mia vita e quasi interminabili. Ero molto concentrato, non volevo cadere perché sarebbe stato piuttosto “complicato” uscire fuori illeso da un’onda così estrema ma per un istante ho avuto paura di non farcela: ero sull’onda ma era piena di quelli che noi chiamiamo “bozzi”, saltellavo molto e il tempo si è dilatato come in Matrix. Quell’istante per me è durato più di un minuto ma poi sono riuscito tenermi in equilibrio, a mantenere linea e ad uscire dall’onda”.

La sensazione alla fine?

“Una gioia immensa, tanta incredulità e mi sono anche reso conto di aver rischiato un bel po’. Ma quando mi sono girato e ho visto i miei compagni con le moto d’acqua più felici di me mi sono detto: prima o poi devo rifarla...”

Com’è stato “tornare sulla terra”, nei giorni e nei mesi successivi?

“E’ stato bello perché mi sono reso conto di ciò che ho fatto. Ora sono più tranquillo anche quando sono su un’onda più piccola perché so come devo affrontarla. Ma so anche che devo avere sempre il massimo rispetto per il mare, perché ti può fregare anche con onde di un metro”.

Lo stereotipo del surfista, oggi, è sempre quello del ragazzo vestito con il costume 365 giorni all'anno, amante della musica alternativa e dei falò notturni sulla spiaggia?

“Se ti riferisci a quelli che noi chiamiamo “poser” allora si (ride, n.d.r.) ma in realtà questo mondo negli ultimi quindici anni ha fatto un grande salto verso il professionismo. Dietro alla cavalcata di un’onda c’è tanta preparazione fisica: io, per esempio, faccio molta palestra per migliorare la reattività, tante ore in bici e poi altre ore di tecnica della respirazione per sopportare al meglio un’eventuale esperienza prolungata sotto l’acqua. E poi c’è il lavoro sulla testa…”

Ti supporta uno psicologo?

“Ho dovuto imparare a convivere con l’idea di dover affrontare situazioni estreme. In quei casi di difficoltà, è importante cercare di controllare al meglio le emozioni. Non è bello ritrovarsi davanti un’onda di 18 metri, è come guardare un palazzo che ti viene addosso e quando vai sotto devi stare calmo, mantenere una posizione raccolta e, anche grazie ai nuovi giubbotti che abbiamo in dotazione, lasciarti trascinare verso la direzione in cui ti tirano. Quando sei dentro un’onda del genere vieni sballottolato e perdi subito il senso dell’orientamento. A me è successo di ritrovarmi a nuotare verso il fondo pensando di andare verso la superficie ma poi sono stato fortunato. Altri non hanno avuto la mia buona stella…”

Per questo motivo, nella specialità del Big Wave Surfing, non gareggiano surfisti troppo giovani…

“Per cavalcare onde del genere serve una certa dose di incoscienza ma soprattutto tanta preparazione psico-fisica e tanta… esperienza. Le ultime “doti” le acquisisci solo andando avanti con l’età”.

Com’è il tuo rapporto con una leggenda come McNamara?

L’ho conosciuto nel 2013, quando lo invitai all’Italia Surf Expo a Santa Severa. Mi vide in azione e mi disse: “Tu puoi cavalcare le onde estreme”. Iniziai ad andare in Portogallo nel 2014 e poi ciò che è successo nel 2015 è storia. Lo ammiro e lo stimo, tra di noi c’è un rapporto molto solido e fraterno e non può essere altrimenti, perché quando siamo in mare ognuno affida la vita all’altro componente di un team”.

A prima vista, questa specialità può sembrare individuale e invece c’è molto lavoro di squadra…

“Quando uno di noi è sulla tavola, l’altro compagno è pronto a “lanciarlo” nell’onda con la moto d’acqua e un altro ancora è pronto a recuperarlo entro 10 secondi, perché questo è il tempo massimo tra la fine della tua onda e l’arrivo della successiva. Serve tanto feeling e tanta fiducia. E poi è un po’ come la MotoGP: anche noi abbiamo le moto, anche se d’acqua, e i box con i loghi degli sponsor sulla spiaggia, che in quelle occasioni diventa un vero e proprio paddock…”.

Hai fatto l’esempio delle moto perché sei un appassionato?

Mio padre ha corso ad alti livelli con le auto, nella Formula 3 e io ho i motori nel sangue. Negli anni novanta partecipai anche al campionato italiano 125 con una Cagiva ma poi, un po’ per mancanza di soldi, un po’ per seguire il surf a tempo pieno, mollai. Ci sono comunque molte similitudini tra i due sport: il vento in faccia, la velocità, l’adrenalina… Poco tempo fa sono tornato in pista, in occasione di un corso di guida Ducati DRE con Marco Lucchinelli (ex-campione del mondo della 500 Gp, n.d.r.) ed è stata un'esperienza unica”.

Com’è considerata nel mondo l’Italia del surf?

Fino a poco tempo fa non molto. Adesso, con me nel Big Waves e con Leonardo Fioravanti (campione del mondo Under 18, n.d.r.) nel surf tradizionale iniziano a considerarci, anche se le nazioni regine rimangono Stati Uniti, Australia e Brasile. In Italia, ci sono belle realtà nel Lazio, in Toscana, in Liguria e in Sardegna. Gelosia tra “tribù”? C’è, inutile nasconderlo ma quando ci ritroviamo tutti insieme è bello fare del sano agonismo ed è anche un’occasione di confronto per capire a che livello siamo arrivati. Le Olimpiadi? Ancora non siamo tra gli sport considerati ma speriamo di entrare nel 2024. Magari a Roma… Malagò mi ha detto che ci stanno lavorando e io sarei pronto per dare una mano”.

Dove ti vedi tra 10 anni?

“Sul surf, perché oggi c’è gente tanto più grande di me ancora attività e non mi dispiacerebbe percorrere la loro stessa strada. Mi piacerebbe anche mettere in piedi una scuola, insegnare agli altri ad andare sul surf e fare corsi e stage in giro per il mondo”.

La famiglia ti supporta in questo lavoro “inusuale”?

“Mia madre è venuta a sapere dell’impresa a Nazarè solo tramite telegiornale… per fortuna mio padre, con il quale condivido questa passione, fa da “tranquillante” perché cerca di rassicurarla”.

I tuoi prossimi obiettivi e appuntamenti?

“Provare a vincere ad aprile il concorso dell’onda più bella al Red Chargers (cliccare qui per votare), organizzare l’Italia Surf Expo di fine luglio a Santa Severa e continuare con il tow-in: a ottobre andrò di nuovo a Nazarè, dove cercherò di superare il mio limite. Il record del mondo? Chissà…

 

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